mercoledì 3 dicembre 2025

Alla riscoperta della canna da zucchero, tra identità e sostenibilità

 

 La canna da zucchero in Sicilia merita di essere riscoperta e valorizzata, non solo per il suo valore storico e culturale, ma anche per le sue potenzialità economiche e ambientali. E la produzione del primo rum made in Sicily, interamente prodotto in terra siciliana, è un segno di come sia possibile essere protagonisti nel mercato dei distillati, offrendo un prodotto di qualità e di origine controllata. Ma andiamo con ordine. La Sicilia è una terra di antiche e nobili tradizioni agricole, che ha saputo conservare e valorizzare i suoi prodotti tipici e le sue eccellenze enogastronomiche. Tra le colture che hanno segnato la storia e la cultura dell’Isola, una delle più affascinanti e dimenticate è quella della canna da zucchero, una pianta tropicale che ha trovato in Sicilia un clima ideale per la sua crescita e trasformazione.

E a proposito di trasformazione, oltre all'”oro bianco” (come veniva definito lo zucchero), risale al 1600, ed esattamente ad Avola (Siracusa) la prima produzione di rum ottenuto dalla fermentazione e distillazione del succo o della melassa di canna da zucchero. La tradizione del rum ad Avola si perse nel tempo, tuttavias, fino a quando, nel 2020, un imprenditore locale, Corrado Bellia, decise di riprendere la coltivazione della canna da zucchero e di realizzare il primo rum 100% siciliano, con il marchio “Avola Rum”. A questo, nei giorni scorsi è stato affiancato anche il primo Rum interamente distillato in Sicilia, a Modica, grazie al sapiente lavoro della distilleria Alma, che lavora al progetto dal 2021. Il rum è prodotto con il metodo “agricolo”, che utilizza solo il succo fresco di canna da zucchero coltivata in Sicilia, senza aggiunta di altri ingredienti. Il succo viene fermentato con lieviti selezionati e distillato in alambicchi discontinui a vapore. Il rum viene poi lasciato maturare in botti di rovere per almeno 12 mesi.

La storia delle origini del rum ha ancora dei lati da far emergere. Di certo, la canna da zucchero in Sicilia fa riecheggiare i segni di un fiorente passato, ancora poco visibile ma tangibile. Un’impronta storica è data dall’inserimento iconografico di quattro culmi di canna da zucchero nel Gonfalone di Acquedolci, un piccolo centro in provincia di Messina, autonomo dal 1969 e che negli anni ’80 ha inserito come simbolo identitario la pianta della canna da zucchero, a memoria della coltivazione e trasformazione in zucchero. Proprio ad Acquedolci esisteva uno dei maggiori Trappeti dell’isola secondo solo a quello di Avola. La testimonianza storica della canna da zucchero in Sicilia è concreta anche a Trappeto, un comune del Palermitano il cui nome già rimanda a questa florida tradizione, avvalorata dal prof. Orazio De Guilmi, uno dei più autorevoli conoscitori della materia nonché tra i più stretti collaboratori del noto sociologo Danilo Dolci.

“In un tempo in cui il mondo attuale sembra impazzito con comportamenti che vanno in direzione opposta alla salvaguardia e valorizzazione della natura – commenta De Guilmi – per non parlare dei focolai di guerra, che si muovono verso la catastrofe finale, recuperare memoria e promuovere cultura e progettualità positiva, potrebbe apparire un non senso. Ed invece sta proprio nella necessità di guardare il futuro che occorre partire dalle radici per rendere più vivibile la vita. In questo contesto si inserisce il progetto che vede impegnate Istituzioni pubbliche, storici, aziende illuminate e uomini di cultura, accomunati da passione e amore per la terra di Sicilia”.

“Per restare nel tema illustrerò, brevemente, le origini storiche di Trappeto che hanno un nesso forte con tali problematiche – prosegue De Guilmi -. È ampiamente noto e dimostrato che la canna da zucchero, cannamele, è stata introdotta in Sicilia da parte degli arabi sin dall’ottavo secolo. Ma è con Federico II di Aragona che avviene una vera e propria evoluzione di questa coltura e trasformazione a fini alimentari nel 1307, allorché istituisce le Terre Balestrate, nel territorio prospiciente il mare, ad un tiro di balestra dalla Selva partenia (Partinico in provincia di Palermo). Sarà re Alfonso di Aragona (il Magnanimo) che concederà al suo camerlengo Nicolao de Leonfante le terre Balestrate, con facoltà di coltivare, costruire case e trappeta cum torre. Alla morte di costui le Balestrate vengono ereditate dalla figlia Elisabetta, andata in sposa a Francesco Bologna. Nel 1480 il Bologna incentiva la coltura della cannamela e potenzia il Trappetum cannamelarum, con annessa chiesetta”.

“C’è da dire – dice ancora De Guilmi – che la lavorazione della cannamele, per la cottura della melassa, ha previsto il consumo di enorme quantità di legname, ricavato dal bosco di Partinico, che negli anni è stato spogliato completamente. Sorgono nello stesso periodo molti altri trappeti da cannamela nella Sicilia occidentale ed in quella orientale, ma quello di maggior rilievo nel settore occidentale è quello che in provincia di Palermo ha dato il nome al proprio comune: Trappeto. Va considerato infatti che il trappeto della cannamele era collocato in una posizione particolarmente strategica: in prossimità del mare per consentire la commercializzazione del prodotto e la presenza di molti boschi, da cui trarre legna da ardere per la lavorazione (Partinico e Monreale). Due fattori fondamentali contribuiscono alla fine della coltivazione e lavorazione della cannamele: da un lato la scoperta dell’America, dove la coltivazione intensiva della canna da zucchero ed il basso costo della la rendevano poco remunerativa in Sicilia. In seguito, con l’estinzione della linea ereditaria di Bologna, per cui le terre caddero in abbandono”





 

La cucina siciliana? ... un'opera d'arte

 

 


Dominazioni millenarie di popoli provenienti da tutto il mondo, eventi storici, politici e religiosi epocali, la Sicilia di oggi è frutto di tutto questo e continua a modificarsi adattandosi ai tempi moderni, senza perdere tutte quelle specificità che la rendono un luogo affascinante. Ed è nella gastronomia che questo valore storico-culturale emerge forte e identitario, mostrando tracce di diverse culture e influenze, di popoli europei e mediterranei, tramandate di generazione in generazione, visibili anche sui monumenti costruiti sull’isola. Ecco come è andata.

 


Fenici, Greci e Romani

Si deve ai Fenici l’utilizzo della conservazione degli alimenti mediante salatura e affumicatura, ma anche una dieta a base di cereali, orzo e farro in primis. Furono invece i Greci ad appassionarci all’olio d’oliva, ad insegnarci ad innestare le viti da vino, creando tradizioni che diedero il via alla viticoltura arcaica che ha tracce fino ai nostri giorni. I Romani furono poi gli autori di una vera e propria rivoluzione gastronomica portando in Sicilia il grano duro detto ‘vestito’ che non perdeva lo stato di maturazione. I ricchi romani iniziarono ad ingaggiare cuochi siciliani che sembra furono gli ideatori della cottura all’interno del pane, creando così gli antenati delle “mpanate”. Sempre ai romani si deve l’introduzione di frutti e spezie fatti arrivare da lontano quali semi di papavero, cannella, chiodi di garofano, zenzero e pepe.



Influenza ebraica

Negli anni della dominazione romana arrivarono in Sicilia anche le comunità ebraiche che si stabilirono sull’isola fino alla fine del XV secolo, quando furono espulse dal regno di Ferdinando e Isabella. Dal loro pane azzimo preparato nel periodo di Pasqua, discendono la scaccia e la vota-vota, ripiene di verdure. Per Capodanno invece il piatto principale sulla tavola erano le triglie allo zafferano, ancora oggi preparate nelle cucine siciliane. E ancora, aglio soffritto nell’olio d’oliva come condimento per le verdure, cottura delle frattaglie. Ebbene sì, hanno origine ebraica, pani ca meusa, quarume, frittula, stigghiole, mussu, masciddaru e carcagnola.



Gli arabi in Sicilia

Ecco un altro spartiacque. La dominazione araba portò il ridimensionamento, la creazione del latifondo, delle piccole e medie aziende agricole dedicate ad arance amare, limoni, mandarini, cotone, riso, gelsi, canna da zucchero, mandorle, nocciole, pistacchi e uva. Nacque la prima rete di irrigazione delle campagne, venne introdotta la distillazione del vino e delle vinaccia e si iniziò a produrre l’alcol per usarlo come disinfettante. Ai distillati vennero aggiunti zucchero, spezie e frutta e nacque il rosolio.

Sul fronte della pasticceria fu un tripudio di forme, colori e profumi e vennero prodotti i primi cannoli e le prime cassate. Sono arabe la creazione del gelato (sherbet, sorbetto), l’arte di essiccare la pasta (spesso condita con le sarde), la preparazione del cous cous, l’uso della carta macinata come ripieno in formati e timballi. E nacque la tradizione dello “street food”. Ma gli arabi lasciarono segni anche sul fronte della pesca (portando tecniche più avanzate di pesca e di conservazione del tonno) e su quello della lingua, il dialetto siciliano ne è testimonianza in molte espressioni tipiche.

La corte dell’imperatore Federico II di Svevia e dei Normanni

Quando Ruggero d’Altavilla sconfisse gli arabi con il suo esercito era il 1063 e ai normanni servirono quasi 30 anni per conquistare tutta la Sicilia e imporre la propria dominazione. Arrivarono il ‘pescestocco’ (stoccafisso) e il ‘baccalaru’ (baccalà). Fu però Federico II, nel 1200, a segnare una rinascita della cucina siciliana. Venne ripresa la tradizione della carne ‘in umido’ della cucina greco-romana ma con l’utilizzo di carne fresca e di erbe aromatiche come basilico, salvia, prezzemolo, timo e menta. Una delle ricette preferite dall’imperatore era il “biancomangiare” (blanc manger), a base di latte e mandorla. Sulla tavola di Federico II arrivarono anche animali come cigni, gru e pavoni, oggi considerati invece soltanto ornamentali. Della cucina araba sopravvissero la gelatina di frutta, quello che oggi conosciamo come “salmoriglio” e la salsa “camellina”, condimenti delicati che arricchivano i banchetti. Curiosità? Del garofano si faceva largo uso nel riso e sembra proprio che in quegli anni venne inventato in Sicilia, e non in Lombardia, il Risotto alla Milanese.

Angioini e Aragonesi

Arrivarono gli Angioini, il centro del Regno di Sicilia fu spostato da Palermo a Napoli e con la rivolta dei Vespri Siciliani, l’isola divenne indipendente. Fu il momento della cucina aristocratica, sia baronale che vescovile. Vennero infatti costruiti castelli e conventi, all’interno dei quali venivano coltivate ricette segrete che riguardavano soprattutto la pasticceria. Nacquero i “Frutti di pasta Martorana’’ grazie alla nobildonna Eloisa Martorana che affidò questo compito a delle monache greche che dalle mandorle creavano il marzapane, per creare decorazioni. L’influenza spagnola fece arrivare in Sicilia prodotti come mais e cioccolato, fagioli, peperoni e peperoncini. E dalle Americhe, giunse il pomodoro. Fino alla metà del XVII secolo fu considerato solo una pianta ornamentale, per molti addirittura velenosa, divenne poi il principe della cucina siciliana come ingrediente principale del sugo. Sicilia e Tunisia, sono i due unici luoghi al mondo in cui alla parola “salsa” si pensa solo alla salsa di pomodoro.

L’aristocrazia, Monsù e la cucina povera

I Monsù, noti chef che andarono a servizio di nobili famiglie, fecero la loro comparsa in Sicilia alla fine del XVI secolo, arrivando dalla Francia. Portarono con loro la cucina barocca e aristocratica, che si affermò tra il XVIII e il XIX secolo. Lo stile della cucina divenne dunque più raffinato e alle tradizioni siciliane si aggiunsero ricette francesi e napoletane. Sulle tavole arrivarono le quiche. Nel frattempo però si arricchiva la cucina dei contadini feudali e dei pescatori delle marine. Le varie ricette tradizionali, tramandate oralmente, iniziarono a essere raccolte e messe per iscritto, e furano le monache e i monaci erboristi a farsene gelosi custodi. Si trattava di ricette che raccontavano storie come quella del “Cascacavaddu all’argintera” che voleva che un argentiere caduto in disgrazia lo cucinasse usando oli profumati e cercando di convincere il vicinato di essere intento a cucinare costose prelibatezze. Nacque il Falsomagro, inizialmente chiamato Rollò, parola di provenienza francese. Ed erano i camerieri e i servitori a rubare le ricette agli chef, reinventando i loro piatti, come è successo per la salsa agrodolce inizialmente creata per la conservazione di pesce e carne, poi usata per melanzane e carciofi della Caponata.

 


Storia recente

Furono le famiglie storiche e nobiliari a determinare un ulteriore sviluppo della cucina siciliana. Tra queste spicca quella dei Florio, che fu a capo di una rinascita culturale e gastronomica siciliana, valorizzando al contempo il pesce siciliano, a partire dal tonno, lavorando e conservando gli alimenti. A loro si aggiunge la prolifica famiglia Alliata, Principi di Gangi, Gravia e Valguarnera e ancora Duchi di Salaparuta. A loro si devono la tradizione dell’uso della neve per la produzione del gelato e la conservazione dei cibi deperibili, la creazione di antiche cantine, l’avvio del veganismo crudista e della cucina vegetariana. Il duca Enrico di Salaparuta era promotore di una dieta basata solo sui frutti della terra e nel suo libro raccontava di un’alimentazione basata principalmente su alimenti come cereali, verdure e legumi da affiancare ad una bevanda considerata “pura e nobile”, quale era il vino. Nel frattempo le famiglie più povere ispiravano la loro cucina all’aristocrazia e se sui fuochi dei nobili la pasta con le sarde veniva servita con la cernia (pesce più raffinato) nelle cucine più umili l’antica ricetta non poteva permettersi nemmeno le sarde fresche, ma al massimo le poverissime acciughe salate, pasta che veniva definita non più “con le sarde”, ma con “le sarde a mare”, quindi rimaste proprio in acqua

 

martedì 2 dicembre 2025

COMUNE DI ANTILLO CITTÁ METROPOLITANA DI MESSINA COMUNICATO STAMPA “XX SAGRA DEL MAIALE E DEL CINGHIALE”





Il Comune di Antillo organizza la manifestazione “XX Sagra del Maiale e del Cinghiale” con l’intento di promuovere e valorizzare le produzioni agricole e agroalimentare di rilievo regionale e nazionale dell’entroterra messinese che ruotano attorno al vasto territorio che circonda il Comune. Questa iniziativa è finanziata dall’ Assessorato Regionale dell'Agricoltura dello Sviluppo Rurale e della Pesca Mediterranea - Dipartimento Regionale dell’Agricoltura. La produzione della manifestazione è curata dall’ Amministrazione Comunale di Antillo e dalla Proloco Antillo APS. L’evento sarà incentrato sulla promozione dei prodotti agro alimentari tipici e locali, soprattutto delle carni e dei prodotti caseari; ciò significa non solo farne conoscere le qualità, ma guidare il consumatore verso un acquisto e un consumo consapevole, promuovendone l'utilizzo in ambito culinario mediante un connubio con piatti e pietanze nostrane. Lungo il percorso espositivo sarà possibile degustare tantissimi piatti tipici del territorio; contestualmente sarà dato spazio ad attività di informazione, in quanto avrà luogo nella giornata di sabato 06 dicembre un convegno dal titolo “Il patrimonio geominerario del comprensorio orientale peloritano: risorsa strategica e geoturistica” – con ospiti del settore. Sarà anche realizzata una degustazione di piatti tipici della cucina antillese a cura della locale Associazione Proloco per descrivere le buone pratiche dell’uso dei prodotti agricoli di qualità nella cucina domestica, al fine di incentivarne il consumo, la diffusione e quindi la commercializzazione. I principali piatti realizzati saranno tutti a base di carni, salumi e formaggi che celebreranno tutto il gusto dei prodotti locali, i quali non saranno un semplice marchio ma un contenitore di territori, di storie e di persone. Lungo la via Roma, per allietare i visitatori, verrà dato spazio anche a spettacoli di musica popolare per due giornate ricche di eventi.

Ad Alia “Cultura da Gustare”: tre giorni tra sapori, cultura e territorio.

 


Cultura e agroalimentare si intrecciano per raccontare l’anima autentica dell’entroterra siciliano: nasce così “Cultura da Gustare”, la rassegna dedicata alla valorizzazione dei prodotti tipici e delle filiere locali, in programma dal 6 all’8 dicembre 2025 al Museo Civico di Alia, ospitato nello storico Palazzo Arrigo fu Sant’Elia.

L’iniziativa rientra nel quadro delle attività legate al riconoscimento della Sicilia come “Regione Europea della Gastronomia 2025”, un titolo che premia il valore delle produzioni locali e incoraggia eventi dedicati alla sostenibilità, alla tutela della biodiversità e alla valorizzazione delle identità territoriali.

“Cultura da Gustare” mette al centro le eccellenze agricole e agroalimentari delle basse Madonie e dell’area interna siciliana, luoghi in cui la tradizione contadina continua a esprimere qualità, autenticità e resilienza. Tra i protagonisti figurano il pomodoro siccagno, simbolo di una coltivazione rispettosa dell’ambiente; i vini dell’azienda Tasca d’Almerita – Tenuta Regaleali, ambasciatori nel mondo della cultura vitivinicola siciliana; e la scattata di Alia, dolce antico e identitario riconosciuto presidio Slow Food.

 










Il programma
6 dicembre – La rassegna apre con il convegno “Filiere e Territori”, dedicato alle sfide e alle opportunità dell’agroalimentare locale. Un momento di confronto tra agronomi, esperti di enogastronomia e rappresentanti istituzionali con l’obiettivo di rafforzare la rete tra imprese, istituzioni e comunità. Al centro del dibattito: innovazione sostenibile, filiere corte, identità rurale e opportunità di mercato.

7 dicembre – Spazio a musica e degustazioni con l’evento “Musica e Calici. Suoni e sapori al Museo”. Un concerto jazz e swing sul pianoforte storico del Museo da poco restaurato farà da cornice alla conclusione del progetto “Grotte e Vino”, promosso da Tasca d’Almerita: la vendita delle bottiglie affinate per un anno negli incavi del complesso rupestre “Grotte della Gurfa”. Il ricavato sarà destinato a sostenere l’illuminazione del sito rupestre, in un virtuoso patto tra cultura, patrimonio e imprenditoria agricola.

8 dicembre – Il Museo si trasformerà in un percorso sensoriale dedicato ai prodotti simbolo dell’identità territoriale. Aziende agricole e artigiani del gusto dialogheranno con i visitatori offrendo occasioni di degustazione e narrazione delle filiere locali, in un’ottica di educazione alimentare e consapevolezza del valore delle produzioni sostenibili.

“Cultura da Gustare” è un invito a riscoprire il senso di appartenenza, a promuovere le eccellenze agroalimentari come leve di sviluppo e a costruire una sinergia duratura tra cultura, turismo e ruralità. Un appuntamento destinato a crescere nel tempo, contribuendo alla diffusione dell’immagine di un’entroterra siciliano autentico, accogliente e ricco di storie da raccontare.

La rassegna è organizzata dal Comune di Alia in collaborazione con APS Minosse ETS.

L’iniziativa è finanziata dall’Assessorato Regionale dell’Agricoltura, dello Sviluppo Rurale e della Pesca Mediterranea – Dipartimento Regionale dell’Agricoltura.

Per dettagli sul programma e informazioni organizzative:

APS Minosse ETS – Tel: 327 034 4652

Per informazioni turistiche e sul territorio:

Ufficio Turistico del Comune di Alia – email: ufficioturisticoalia@libero.it  Tel: 091 821 0913 -  091 821 9528 - 327 807 5220

lunedì 1 dicembre 2025

Povertà e insicurezza alimentare in Italia

 


Dalla misurazione alle politiche



Authors

Davide Marino (ed)
Daniela Bernaschi (ed)
Francesca Benedetta Felici (ed)

Synopsis

Cosa significa oggi parlare di insicurezza alimentare in un Paese avanzato come l’Italia? Questo volume, con contributi provenienti da istituzioni accademiche, oltre che dalla FAO e dall’ISTAT, esplora le dimensioni economiche, sociali e territoriali di un fenomeno sempre più rilevante, con un focus sull’Italia e, in particolare, sulla Città Metropolitana di Roma Capitale. Anche nei Paesi ad economia avanzata come l’Italia, l’insicurezza alimentare – ovvero la difficoltà di garantire un accesso economico, fisico e sociale a una dieta sana ed equilibrata, in grado di rispondere alle esigenze nutrizionali, culturali e sociali – riguarda una fascia relativamente ampia della popolazione.
L’insicurezza alimentare, tuttavia, non rappresenta soltanto un problema economico, ma è un fenomeno più complesso, riconducibile al concetto di capacitazioni, ossia le libertà sostanziali di cui godono le persone di accedere a un’alimentazione adeguata, modellate dalle condizioni sociali e istituzionali nelle quali vivono. Di conseguenza, il food environment – l’insieme dei fattori che definiscono la disponibilità, l’accessibilità sica ed economica e le caratteristiche del cibo – ha un ruolo cruciale nel determinare le possibilità effettive di accesso al cibo. Un aspetto rilevante, approfondito all’interno del volume, riguarda le disuguaglianze territoriali e sociali che si manifestano nel nostro Paese in relazione all’accesso al cibo, con un’attenzione particolare al sistema di assistenza alimentare.
Il volume amplia inoltre lo sguardo sulla sicurezza alimentare, approfondendo i legami tra cibo, salute e capacità dei territori di sostenere la domanda interna, delineando un quadro utile alla definizione di politiche economiche e sociali di contrasto all’insicurezza alimentare. La proposta finale è di assumere il concetto di “diritto al cibo” come fondamento per la costruzione di sistemi alimentari più giusti e resilienti.

Author Biographies

Davide Marino

Professore di Economia e politica agroalimentare, Università degli Studi del Molise, è direttore scientifico dell’Osservatorio Insicurezza e Povertà Alimentare.

Daniela Bernaschi

Ricercatrice e cultrice della materia in Disuguaglianze sociali, povertà e sistemi alimentari sostenibili e inclusivi, Università degli Studi di Firenze, è ricercatrice dell’Osservatorio Insicurezza e Povertà Alimentare.

Francesca Benedetta Felici

Dottoranda in Geografia umana presso La Sapienza Università di Roma, è ricercatrice dell’Osservatorio Insicurezza e Povertà Alimentare.




OIPA 2025


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domenica 30 novembre 2025

Chi controlla ciò che mangiamo? Scopriamolo insieme a "Indovina chi viene a cena"

 

https://www.raiplay.it/video/2025/11/Indovina-chi-viene-a-cena---Puntata-del-29112025-60da7756-89ab-471f-9765-313fe94f3f8c.html

🌱
Nel nuovo appuntamento del programma condotto da Sabrina Giannini, in onda il 29 novembre in prima serata, è stata affronta una questione cruciale: chi decide cosa finisce sulle nostre tavole? L'inchiesta parte dai semi, quei piccoli frammenti di vita che hanno il potere di cambiare ecosistemi, mercati e comunità intere.

 


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Negli ultimi decenni, il modo di lavorare nei campi è stato stravolto da un sistema dominato da poche multinazionali che brevettano semi "usa e getta". I contadini, privati della possibilità di conservare i semi come si faceva da sempre, si trovano costretti a comprarli ogni anno ad un costo crescente, guadagnando sempre meno. Un sistema che favorisce chi brevetta e penalizza chi coltiva, ma che non ha piegato tutti: emergono storie di veri "partigiani dei semi", contadini che difendono varietà antiche, libere e adattate ai territori, creando reti di resistenza per salvaguardare la biodiversità agricola.
🌿
Tra questi protagonisti, c’è anche un’organizzazione che, da vent’anni, distribuisce semi liberi spesso a rischio di sanzioni, impegnata a salvare quelle specie vegetali che rischierebbero altrimenti di scomparire, conservando un patrimonio fondamentale per la nostra alimentazione e l’ambiente.
🌻
Ad arricchire il racconto, il dottor Franco Berrino in trasmissione per spiegare le conseguenze sulla salute delle sostanze usate nelle coltivazioni industriali. Scegliere un cibo "pulito" non è solo una questione di gusto, ma una vera tutela per il nostro organismo e per il pianeta.
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sabato 29 novembre 2025

Veronelli, ricordo nell'anniversario della dipartita.

 Veronelli, Gino per gli amici , è stato un gastronomo, giornalista, editore, conduttore televisivo, filosofo e anarchico italiano. Viene ricordato come una delle figure centrali nella valorizzazione e nella diffusione del patrimonio enogastronomico italiano. 

Vogliamo ricordalo così nell'anniversario della dipartita.

 

Illuminante, al riguardo, la definizione che Luigi Veronelli  ideologo delle Denominazione Comunali (De.Co.), ha dato del genius loci:  “E’ da intendere come l’intimo e imprescindibile legame fra uomo, ambiente, clima e cultura produttiva”. Da qua il nome del percorso Borghi GeniusLoci DeCo 

 Antesignano di espressioni e punti di vista che poi sono entrati nell'uso comune e protagonista di caparbie battaglie per la preservazione delle diversità nel campo della produzione agricola e alimentare, attraverso la creazione delle De.Co. (Denominazioni Comunali), le battaglie a fianco delle amministrazioni locali, l'appoggio ai produttori al dettaglio. 



Veronelli, ha rappresentato e rappresenta il rinascimento dell’ElaioEnoGastronomia italiana in tutte le sue espressioni, ha aperto una strada, inventato un genere, vissuto e tracciato la via per l’affermazione dei territori e dei loro prodotti identitari, una lezione di dedizione, onestà intellettuale e sana partigianeria che fa di lui l’antesignano della sovranità alimentare. Ha lottato contro i poteri forti a difesa dei piccoli produttori, a garanzia dei consumatori consapevoli, tra le sue battaglie: “con la trasparenza del prezzo sorgente, il consumatore verrebbe messo in grado di valutare il tipo di ricarico applicato dal rivenditore, e da questo la sua onestà”.

 Già nel lontano 1956 Luigi (Gino) Veronelli scriveva “L’agricoltura e il turismo sono le armi migliori per lo sviluppo e l’affermazione della nostra Italia”. Un’idea decisamente controcorrente considerando il pieno boom economico, ossia quel veloce sviluppo industriale che trasformò l’Italia, il suo modo di vivere, le abitudini, anche alimentari, della popolazione e modificò per sempre l’aspetto delle città, del paesaggio, delle campagne. Anni dopo, Veronelli è tornato sull’argomento precisando che “L’agricoltura di qualità e il turismo di qualità sono le armi per lo sviluppo della nostra patria”.

“Come io ammiro Picasso perché lo riconosco, così posso apprezzare un vino o qualsiasi altra cosa che viene dalla terra, se la riconosco. Trovo che questo sia un recupero di civiltà, di intelligenza e di libertà estremamente importante. Per questo non mi piacciono i prodotti tipici. Sono diventati un marchio commerciale. Non mi piacciono le tradizioni imbalsamate.  Ma voglio sapere dove nasce un prodotto. Mi fido dell’autocertificazione del produttore che mi spiega come è fatto il suo vino o i suoi ortaggi”.

Veronelli in questo come in tanti altri temi, è stato un intellettuale a tutto campo, ricco di intuizioni, uno straordinario personaggio ricco di umanità e di contraddizioni, capace di vedere lontano. I suoi pensieri sul turismo e sull’agricoltura, infatti, hanno del pionieristico se collocati nel contesto storico in cui sono stati enunciati.  Ma d’altra parte il suo grande fascino era dovuto al fatto che nella sua vita non hai mai smesso di  essere curioso e attento a cogliere le novità, nel rispetto delle identità territoriali.




 

venerdì 28 novembre 2025

EA concorso per tutte le scuole d'italia

 

𝐋𝐚 𝐧𝐮𝐨𝐯𝐚 𝐩𝐢𝐚𝐭𝐭𝐚𝐟𝐨𝐫𝐦𝐚 𝐝𝐢𝐠𝐢𝐭𝐚𝐥𝐞 𝐝𝐢 𝐞𝐝𝐮𝐜𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐚𝐥𝐢𝐦𝐞𝐧𝐭𝐚𝐫𝐞 𝐫𝐞𝐚𝐥𝐢𝐳𝐳𝐚𝐭𝐚 𝐝𝐚𝐥 𝐂𝐑𝐄𝐀 𝐬𝐮 𝐢𝐧𝐝𝐢𝐜𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝐌𝐀𝐒𝐀𝐅 è 𝐢𝐧 𝐯𝐢𝐚 𝐝𝐢 𝐝𝐞𝐟𝐢𝐧𝐢𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞, 𝐦𝐚 𝐦𝐚𝐧𝐜𝐚 𝐮𝐧𝐚 𝐜𝐨𝐬𝐚: 𝐢𝐥 𝐧𝐨𝐦𝐞 𝐞 𝐢𝐥 𝐥𝐨𝐠𝐨.



Saranno i/le docenti a proporlo grazie alla collaborazione di alunni/e delle proprie classi partecipando a questo concorso.
Per la partecipazione al concorso i/le docenti dovranno andare sul sito https://unnomebelloebuono.it/ e seguire le istruzioni. La scadenza è prevista per il 10 dicembre 2025.
Partecipando al concorso, la classe vincitrice avrà una targa commemorativa personalizzata, da esporre all’interno dell’Istituto scolastico, e un set di attrezzature per l’educazione alla sostenibilità da utilizzare in classe, oltre che naturalmente vedere il titolo e logo diventare quelli ufficiali della Piattaforma di educazione alimentare del CREA/MASAF.
La piattaforma di educazione alimentare, presto disponibile online, sarà dedicata agli insegnanti della scuola dell’obbligo (6-16 anni) e offrirà schede didattiche su temi diversi, dall’alimentazione sana e sostenibile alla biodiversità, dalla storia dei cereali all’utilizzo delle macchine agricole. Ogni scheda conterrà approfondimenti teorici e attività pratiche da svolgere in classe o a casa, favorendo percorsi educativi personalizzabili per fascia d’età e argomento. I contenuti delle schede saranno sviluppati dal personale di ricerca del CREA (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria), che è l’Ente di ricerca del Ministero dell’Agricoltura della sovranità alimentare e delle foreste, con consolidata esperienza in educazione alimentare e ricerca agricola multidisciplinare. Le schede promuoveranno un’educazione alimentare trasversale, includendo aspetti scientifici, storici, culturali, ecologici e sociali legati al rapporto con il cibo e i temi trattati potranno essere facilmente integrati nel curriculum scolastico. I/Le docenti avranno un ruolo centrale nell’adattare i materiali alle diverse realtà socio-culturali delle classi su tutto il territorio nazionale.

giovedì 27 novembre 2025

Fibre alimentari e prevenzione dei tumori. Le evidenze scientifiche


il prossimo 3 dicembre 2025 – Ore 15.00 all’Accademia dei Georgofili organizza,  "Fibre alimentari e prevenzione dei tumori. Le evidenze scientifiche"

 

                 


Crescono le evidenze scientifiche da studi di laboratorio e da indagini epidemiologiche condotte ormai su milioni di soggetti a supporto di un effetto protettivo delle fibre alimentari per la prevenzione dei tumori, tra cui, in particolare, quelli gastrointestinali.

Ma in che misura sono efficaci? Tutte le fibre o alcuni tipi più di altri? Quante e quanto spesso andrebbero consumate? E gli italiani quante ne consumano? Attraverso quali meccanismi proteggono dai tumori? A queste e ad altre domande risponde il seminario promosso congiuntamente dall’Accademia dei Georgofili e da ISPRO.

 

Link per iscrizione: https://forms.gle/4bGFEsq16WbVy4DJ9

programma

Neorurali: nuovi abitanti, nuove ruralità

 

                                                        NinoSutera


Il caso di grande attualità della famiglia nei boschi d’Abruzzo?  Non vogliamo entrare nel merito della questione anche perchè non la conosciamo, ma la neoruralità è un'altra cosa.  

 Il termine “neorurali” indica un fenomeno sociale e culturale sempre più rilevante in Italia e in Europa, fin dall'inizio degli anni 2000, persone  famiglie o gruppi che scelgono di trasferirsi dalle aree urbane ai territori rurali, non per necessità ma per progetto di vita, valori e nuova visione dello sviluppo.


  MANIFESTO SULLA NEORURALITA'




Gustav Mahler affermava: "Tradizione non è culto delle ceneri ma custodia del fuoco".
Far memoria della tradizione non è "chinare il capo al passato", non è lasciare alle "ceneri del ricordo" il compito di portare fino a noi le immagini di un tempo ormai andato. Omaggiare la tradizione è ben altro: è mantenere vivo quel "fuoco" che brucia nei solchi lasciati dalle vite di chi ha abitato questa terra, alimentarlo con storie evocative ed emozioni travolgenti. Ciò che rende così affascinante il fuoco è la sua indomabilità, è impossibile imprigionarlo così come è impossibile impedirgli di bruciare. Ecco che nasce la necessità di costruire una custodia, dove non si opprime la sua fiamma ma la si plasma e si alimenta per consegnare un’eredità alle generazioni future.


1. Introduzione

Il fenomeno dei neorurali rappresenta una delle trasformazioni più significative degli ultimi decenni all’interno dei territori rurali italiani ed europei. Non si tratta semplicemente del ritorno alla vita di campagna, né di un revival romantico della tradizione agricola. È, piuttosto, un movimento complesso e plurale che riflette nuovi modelli economici, sociali e culturali. I neorurali incarnano una diversa concezione dell’abitare, del produrre e del vivere, in cui sostenibilità, comunità e innovazione si intrecciano con pratiche agricole rigenerative e forme emergenti di economia identitaria.


2. Definizione del fenomeno

Con “neorurali” ci si riferisce a individui o nuclei familiari che scelgono di trasferirsi dalle aree urbane ai contesti rurali per motivazioni che trascendono il mero bisogno economico. Essi inseguono un progetto esistenziale fondato su qualità della vita, lentezza, relazione con la natura e possibilità di costruire modelli di lavoro più autonomi e creativi. Questa scelta implica spesso una riconfigurazione delle competenze: al background urbano si affiancano nuove abilità agricole, artigianali o gestionali, sviluppate in un contesto di apprendimento continuo.


3. Motivazioni e nuovi modelli di vita

Il neoruralismo è sostenuto da alcune spinte culturali profonde:

  • la riscoperta della dimensione ecologica dell’abitare e il desiderio di ridurre l’impronta ambientale;

  • il bisogno di comunità e di relazioni di prossimità, spesso assenti nei grandi centri urbani;

  • l’aspirazione a un equilibrio tra lavoro e vita personale favorito dallo smart working e dalla digitalizzazione;

  • la ricerca di un benessere integrale, fatto di ambiente, cibo, tempo e cura.

Il ritorno alla campagna diventa così un laboratorio di rinnovamento, un luogo dove sperimentare modelli di vita più sostenibili e resilienti.


4. Attività e pratiche emergenti

I neorurali propongono un modo nuovo di fare ruralità. Accanto alle attività agricole – spesso orientate alla produzione biologica, rigenerativa o di nicchia – compaiono settori innovativi:

  • turismo esperienziale e ospitalità diffusa;

  • laboratori artigiani e creative industries rurali;

  • produzioni agroalimentari identitarie e filiere corte;

  • servizi sociali e culturali alle comunità;

  • start-up verdi e imprese basate sulla digitalizzazione.

In questo quadro, la ruralità non è più vista come periferia arretrata, ma come spazio di sperimentazione contemporanea.


5. Impatto sui territori rurali

Il contributo dei neorurali è evidente su più livelli:

  • demografico, con il ripopolamento di borghi e contrade in via di abbandono;

  • economico, grazie alla diversificazione delle attività, alla riattivazione delle filiere e alla creazione di nuove forme di microimprenditorialità;

  • sociale, attraverso la costruzione di reti comunitarie, processi partecipativi e pratiche di cittadinanza attiva;

  • ambientale, con la diffusione di tecniche sostenibili e l’attenzione alla biodiversità.

Il loro arrivo contribuisce alla rigenerazione dei territori e alla valorizzazione del capitale identitario.


6. Neorurali e politiche locali del cibo

L’interesse verso la produzione agroalimentare di qualità e la cura del paesaggio alimentare rende i neorurali attori rilevanti nelle politiche locali del cibo. La loro azione si integra con:

  • la promozione della dieta mediterranea, come modello culturale e nutrizionale legato a sostenibilità, biodiversità e convivialità;

  • la valorizzazione dei prodotti identitari e delle pratiche tradizionali;

  • la diffusione di mercati contadini e forme di distribuzione alternativa;

  • il recupero di semi antichi, vigneti storici e colture marginali.

Questi processi rafforzano il legame tra comunità, paesaggio e filiere agroalimentari.


7. Neorurali e Borghi De.Co.

All’interno dei Borghi GeniusLoci De.Co., i neorurali trovano un contesto particolarmente favorevole. Qui l’identità territoriale – espressa attraverso produzioni agroalimentari, tradizioni artigiane, ritualità condivise – si combina con politiche di tutela e promozione della cultura materiale del cibo. I neorurali diventano catalizzatori di nuove economie identitarie, contribuendo alla:

  • rigenerazione dei luoghi;

  • trasmissione dei saperi locali;

  • creazione di reti tra produttori, amministrazioni e comunità;

  • innovazione sociale e culturale.

La loro presenza favorisce la costruzione di modelli di sviluppo territoriale integrati, in cui memoria e innovazione si alimentano reciprocamente.


8. Conclusioni

I neorurali rappresentano una forma inedita di abitare e trasformare i territori rurali. Essi portano con sé un capitale culturale, professionale e relazionale che, se accolto e sostenuto, può diventare motore di rinascita per i borghi e per le campagne italiane. Il fenomeno non è privo di complessità – fragilità burocratiche, costi di riadattamento, tensioni con vecchie comunità –, ma apre scenari di grande potenzialità.

Nel loro gesto di “ritorno”, i neorurali indicano una direzione possibile per il futuro: un rapporto più profondo con la terra, una nuova economia del senso, un equilibrio tra tradizione e modernità. Una ruralità che non è passato, ma avanguardia.



 


🌿 Chi sono i neorurali

I neorurali sono generalmente:

  • giovani o adulti provenienti da contesti urbani;

  • professionisti, creativi, imprenditori, smart workers;

  • famiglie che desiderano un ambiente più sano e sostenibile.

Non si tratta del ritorno alla terra tradizionale, ma di un rural lifestyle contemporaneo, che unisce saperi antichi e competenze moderne.


🚜 Cosa fanno

Le attività tipiche dei neorurali includono:

  • agricoltura rigenerativa o biologica;

  • artigianato evoluto e produzioni identitarie;

  • agriturismo, ospitalità diffusa, turismo esperienziale;

  • servizi culturali, sociali e di comunità;

  • progetti di innovazione sociale;

  • attività remote o digitali (smart working, professioni creative);

  • start-up rurali e green economy.


🧭 Perché scelgono la ruralità

Motivazioni più comuni:

  • ricerca di qualità della vita e benessere;

  • desiderio di equilibrio tra natura, lavoro e relazioni;

  • interesse per sostenibilità, lentezza e comunità;

  • rigenerazione personale e nuovi modelli di sviluppo;

  • valorizzazione del patrimonio culturale dei borghi.


🏡 Impatto sui territori

I neorurali contribuiscono a:

  • ripopolamento di borghi e campagne;

  • riattivazione di terreni, case rurali e antiche filiere;

  • innovazione in agricoltura e turismo;

  • nascita di reti comunitarie e progetti partecipativi;

  • nuove economie locali a base identitaria.


🌱 Neorurali e politiche locali del cibo

Sono spesso protagonisti di:

  • progetti di filiera corta e mercati contadini;

  • recupero di biodiversità (semi, vigne, antiche varietà);

  • modelli di dieta mediterranea sostenibile;

  • pratiche legate ai Borghi GeniusLoci De.Co. e alle identità territoriali.


🧩 Un fenomeno culturale

Il neoruralismo non è nostalgia:
è una nuova frontiera dell’abitare, legata a:

  • digitalizzazione;

  • sostenibilità;

  • cura del territorio;

  • economia circolare;

  • comunità resilienti.


 

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