mercoledì 10 dicembre 2025

Sul lungomare di San Giorgio (Gioiosa Marea) torna “Il Gusto Giusto”

                                      Daniela Buttò


In vetrina per la festa di Santa Lucia i sapori autentici della Sicilia tra tradizione, cultura e gratitudine

Gioiosa Marea - Sarà una celebrazione di tesori gastronomici e dolci tradizioni quella che sabato 13 dicembre animerà il lungomare di San Giorgio con “Il Gusto Giusto ”. L’iniziativa, che si inserisce tra le attività dedicate alla valorizzazione delle eccellenze agroalimentari della Sicilia quale “Regione Europea della Gastronomia”, è realizzata grazie al finanziamento dell’Assessorato regionale dell’Agricoltura, dello Sviluppo rurale e della Pesca mediterranea – Dipartimento Regionale dell’Agricoltura. L’evento, organizzato dalla Proloco di San Giorgio con il supporto del Comune di Gioiosa Marea e la collaborazione dell’associazione Vivi San Giorgio, si svolgerà in coincidenza con la festa di Santa Lucia, un’occasione per esaltare la tradizionale “cuccìa”, piatto semplice ma ricco di nutrienti, nonché simbolo di gratitudine. 




La tradizione risale, infatti, a un periodo di carestia nell’Isola, quando il grano giunto via mare portò sollievo agli abitanti, trasformandosi in un vero e proprio rito di ringraziamento e solidarietà. Gustare la cuccìa significherà rendere omaggio a questa memoria storica, patrimonio di cultura popolare che si tramanda di generazione in generazione. Ma sarà possibile assaporare anche dolci tipici artigianali, tra cui panettone, biscotti e paste di mandorla, accompagnati da vini e liquori locali. L’area degustazione al coperto garantirà un’esperienza calda e accogliente anche in caso di maltempo. A corredo dell’evento, dalle 16 verrà aperto il villaggio di Babbo Natale, con animazione per bambini e famiglie. Dalle 18:30 avrà inizio la degustazione della cuccìa, allietata da un coinvolgente intrattenimento musicale, per trascorrere insieme momenti di festa e convivialità. «Dal 2007, ovvero dalla nascita della nostra Proloco – raccontano gli organizzatori - “Il Gusto Giusto” accompagna la comunità in una festa di sapori e tradizioni. Ogni piatto racconta una memoria, ogni dolce tramanda gesti di convivialità. La cuccìa, simbolo della festa di Santa Lucia, unisce passato e presente, comunità e visitatori. Con questo evento vogliamo offrire a tutti la possibilità di vivere la nostra cultura con gioia e gusto, valorizzando i prodotti del territorio e condividendo l’orgoglio per la nostra identità».

martedì 9 dicembre 2025

Cucina italiana patrimonio Unesco? Serve una strategia per "proteggere" un tesoro che si sta disperdendo

 RAPPORTO



Nuove Tecniche Genomiche

 

Rocchi (Crea) su Tea: Passaggio atteso e decisivo che dà nuovo impulso all’innovazione e alla ricerca scientifica


ROMA – “Accogliamo con grande soddisfazione i progressi emersi dal trilogo tra Commissione europea, Parlamento e Consiglio sulle nuove regole per le piante NGT.

Si tratta di un passaggio atteso e decisivo che dà nuovo impulso all’innovazione, rafforzando così la competitività, la resilienza e la sostenibilità dell’agricoltura europea e, in particolare, del nostro sistema agroalimentare. La definizione di un quadro regolatorio chiaro e moderno valorizza il ruolo fondamentale della ricerca scientifica nel contrastare il cambiamento climatico e garantire la sicurezza alimentare.

Un risultato importante, per cui ringraziare il ministro Francesco Lollobrigida, che ha sostenuto con coerenza e lungimiranza lo sviluppo delle NGT e il lavoro dei nostri ricercatori, con investimenti significativi nella ricerca – basti pensare ai 9 milioni di euro per il progetto TEA4IT. Una visione a beneficio non solo degli agricoltori, ma anche dei cittadini e dell’ambiente”.

Così il presidente del CREA Andrea Rocchi in occasione dei significativi progressi registrati nel trilogo tra Consiglio dell’UE, Parlamento europeo e Commissione europea sulle nuove norme che regolano le Nuove Tecniche Genomiche (NGT), in Italia note anche con il nome di Tecnologie di Evoluzione Assistita (TEA), un confronto che punta a rafforzare la competitività agroalimentare, garantendo al contempo sicurezza alimentare e tutela della salute e dell’ambiente.

Il negoziato in corso sancisce la distinzione tra piante NGT di categoria 1 – assimilate alle varietà convenzionali con percorso autorizzativo semplificato – e NGT di categoria 2, soggette alle norme OGM con etichettatura obbligatoria. Si discute anche di etichettatura, di proprietà intellettuale e brevetti, temi cruciali per valorizzare l’innovazione a beneficio di ricerca, produttori e agricoltori.

In Italia il CREA, l’ente di ricerca sull’agroalimentare e sulle foreste vigilato dal MASAF, si conferma punto di riferimento nazionale sulla ricerca scientifica sulle TEA attraverso il coordinamento del progetto TEA4IT, con lo scopo di sviluppare varietà resilienti e di alta qualità, capaci di esprimere al meglio le caratteristiche qualitative e nutrizionali distintive delle principali colture italiane (solanacee – pomodoro, melanzana; cereali a paglia – orzo, frumento duro, riso; specie arboree – vite, citrus, pioppo, kiwi, melo). Le varietà saranno sviluppate mediante TEA, in particolare genome editing e cisgenesi (tipicamente classificate come NGT-1), che permettono di identificare i geni chiave e di progettare interventi sempre più precisi, ispirati ai processi naturali, garantendo standard elevati di sicurezza e trasparenza verso la comunità e i consumatori. Le nuove piante editate saranno sottoposte a rigorose analisi genetiche per verificarne la classificazione come NGT-1 e testate in sperimentazione in campo per confermare la corrispondenza tra i risultati di laboratorio e le reali condizioni ambientali.

Attraverso questo progetto, il CREA metterà a disposizione del Paese conoscenze avanzate, competenze specialistiche e strumenti concreti in un settore innovativo ed emergente nel panorama della ricerca in agricoltura, che pone l’Italia al passo degli altri Paesi europei più avanzati e contribuisce a orientare la transizione verso un’agricoltura che guarda avanti ed è in linea con gli obiettivi europei di sostenibilità

giovedì 4 dicembre 2025

Atlante della Fame in Italia

   

 In Italia, la povertà alimentare non è un fenomeno marginale ma una realtà che tocca milioni di persone. Nel 2024, milioni di famiglie hanno sperimentato almeno una forma di deprivazione legata all’alimentazione: c’è chi non può permettersi un pasto proteico ogni due giorni, chi arriva a fine mese senza soldi per comprare il cibo necessario e chi vive un’insicurezza alimentare cronica. Dietro questi numeri si nascondono storie di famiglie, persone, bambine e bambini.

 


 Sotto il profilo socio-demografico, la maggiore incidenza della povertà alimentare si registra tra le famiglie residenti nel Sud Italia, con tre o più minori, con componenti stranieri, con persona di riferimento con un basso livello di istruzione e con persona di riferimento giovane (fino a 34 anni).

Le condizioni più strettamente associate alla deprivazione alimentare sotto un profilo statistico risultano essere: bassi redditi, precarietà lavorativa e difficoltà di accesso alle cure.

In particolare, la condizione di occupazione, se inscrivibile nella bassa intensità lavorativa, non costituisce sempre fattore di protezione rispetto alla povertà. Un lavoro poco retribuito o ad orario notevolmente ridotto può esporre le persone a particolare vulnerabilità, essendo tale condizione potenzialmente deteriore anche rispetto alla disoccupazione tout court, nel momento in cui esclude, ad esempio, la possibilità di fruire di sussidi pubblici.

Al tempo stesso, il mancato accesso alle cure sanitarie può creare un circolo vizioso tra malnutrizione e salute: la mancanza di risorse alimentari peggiora le condizioni fisiche e la mancata cura delle stesse può mantenere o aggravare la povertà.

Quanto al profilo territoriale della povertà alimentare, maggiormente esposte al fenomeno risultano le regioni meridionali, caratterizzate da tassi di disoccupazione e inattività più elevati. Tuttavia, anche aree del Nord Italia, considerate tradizionalmente più prospere, mostrano livelli significativi di rischio a causa di fattori come il costo della vita, proporzionalmente più alto che in altre regioni, e le forti disuguaglianze interne.

L’analisi delle misure pubbliche e degli interventi locali di contrasto alla povertà alimentare in Italia mostra un sistema articolato ma frammentato, composto da strumenti pubblici di sostegno economico e attivazione lavorativa e da un’ampia rete di interventi del Terzo settore, diffusi e capillari ma molto eterogenei.

Le misure pubbliche contribuiscono alla riduzione della povertà alimentare e al sostegno delle famiglie più vulnerabili, in particolare le famiglie numerose con più figli minori a carico. Tuttavia, le misure di contrasto alla povertà alimentare, come la Carta Dedicata A Te e il Reddito Alimentare, mantengono un approccio prevalentemente emergenziale e assistenziale, senza prevedere percorsi strutturati di attivazione socio-lavorativa dei destinatari.

Le misure di sostegno al reddito e di attivazione lavorativa, come l’Assegno di Inclusione e il Supporto per la formazione e il lavoro, si distinguono invece per la loro impostazione orientata all’autonomia tramite il reinserimento lavorativo, ma con percorsi non abbastanza personalizzati che non includono una riattivazione della motivazione e fiducia in sé dei partecipanti.

Manca un approccio organico per risolvere le cause strutturali della povertà, tra cui i bassi salari, i contratti di lavoro precari e la scarsità di servizi per la conciliazione della vita familiare e lavorativa. Vi è inoltre una generale carenza di dati pubblici sulle misure in vigore, che impedisce un monitoraggio sistematico e una valutazione rigorosa dell’efficacia degli interventi.

Parallelamente, dall’analisi degli interventi del Terzo Settore e del sistema di aiuti alimentari a livello delle Città metropolitane italiane (con focus su Bari, Firenze, Genova, Milano e Napoli) emerge una continua prevalenza dell’approccio di assistenza alimentare materiale tramite mense, pacchi alimentari, recupero e ridistribuzione di eccedenze, con forti disomogeneità tra i diversi territori. Si stanno tuttavia diffondendo modelli innovativi come gli empori solidali e i sistemi di tessere spesa, oltre a progetti che integrano l’assistenza alimentare con servizi volti all’inclusione sociale e lavorativa dei destinatari.

Per superare l’attuale frammentarietà e costruire un sistema capace di garantire dignità, autonomia e sicurezza alimentare a lungo termine, Azione Contro la Fame propone una strategia fondata su cinque pilastri.

• Riconoscere il diritto al cibo nella legislazione nazionale, ponendo le basi per un approccio basato sui diritti.

• Coordinare autorità e attori competenti, tramite l’istituzione di un Tavolo di lavoro istituzionale per politiche e misure di contrasto alla povertà alimentare e l’accompagnamento verso l’autonomia.

• Promuovere interventi che superino l’approccio assistenziale e rafforzino l’autonomia sul lungo termine.

• Costruire un sistema integrato di politiche per garantire un lavoro che permette di accedere a una dieta sana e il reinserimento lavorativo femminile tramite servizi per la conciliazione famiglia-lavoro.

• Basare le politiche su dati e sistemi di monitoraggio per valutare e migliorare l’efficacia e l’impatto delle misure.

 

 ’“Atlante della Fame in Italia: Dati e politiche di contrasto alla povertà alimentare in Italia, 

Il Regolamento europeo sul ripristino della natura e il verde urbano

 

webinar

 


 

Con il Regolamento (UE) 2024/1991 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 giugno 2024, sul ripristino della natura, il legislatore europeo ha sotto più profili introdotto nuovi paradigmi nella regolazione e nell’azione quotidiana in tema di relazione con l’ambiente e l’ecosistema. Le foreste, le zone verdi, gli alberi, sono da tempo oggetto dell’attenzione delle istituzioni europee. Nel corso degli anni le misure forestali hanno progressivamente assunto una dimensione che supera  quella delle zone agricole e delle regole di eccezione vincolate a zone speciali di protezione, investendo l’intero insieme delle risorse forestali, ovunque collocate, con una proiezione verso il futuro, che da misure difensive muove verso misure attive di incremento della biodiversità e di ripristino delle foreste, e non soltanto di tutela dell’esistente, così aprendo “scenari inediti e complessi”, analizzati già nell’incontro dell’Accademia dei Georgofili del 2 ottobre 2025 (georgofili.it/eventi).
All’interno di questa prospettiva espansiva il Regolamento (UE) 2024/1991 rivolge la propria attenzione anche agli ecosistemi urbani, sottolineando nelle premesse che questi ecosistemi “rappresentano circa il 22 % della superficie terrestre dell'Unione ed è qui che vive la maggioranza dei cittadini dell'Unione. … e costituiscono habitat importanti per la biodiversità, in particolare per le piante, gli uccelli e gli insetti, compresi gli impollinatori.”
Il nuovo Regolamento segna così una tappa essenziale verso un decisivo cambio di paradigma, che da una logica difensiva territorialmente collocata muove verso un disegno proattivo di ricostruzione delle risorse, in una dimensione, che va ben oltre i confini politici e la destinazione delle singole superfici forestali, per investire ambiente e biodiversità ovunque collocati. Da ciò l’attenzione anche alle superfici occupate dalle città, in un Regolamento dedicato al “ripristino della natura”.  Come incide questa disciplina sulla pianificazione urbanistica delle città? Piano urbanistico e politiche del verde urbano sono strettamente legati per un motivo determinante, che attiene alla conformazione della proprietà immobiliare, poiché al di là dei beni pubblici, la destinazione dei beni immobili privati alla loro conservazione naturalistico-ambientale non può che avvenire attraverso le prescrizioni dello strumento urbanistico.
Questo incontro, organizzato con il contributo di studiosi di diverse aree disciplinari, proseguendo la riflessione avviata nell’incontro del 2 ottobre 2025, intende indagare sull’emergere di una nuova dimensione del Diritto agrario come Diritto del ciclo della vita, che supera i confini del fondo ed investe tutto il territorio, ivi inclusi gli spazi urbani, con esiti rilevanti nelle scelte quotidiane dei cittadini e delle pubbliche amministrazioni.


  REGISTRAZIONE

  

mercoledì 3 dicembre 2025

Alla riscoperta della canna da zucchero, tra identità e sostenibilità

 

 La canna da zucchero in Sicilia merita di essere riscoperta e valorizzata, non solo per il suo valore storico e culturale, ma anche per le sue potenzialità economiche e ambientali. E la produzione del primo rum made in Sicily, interamente prodotto in terra siciliana, è un segno di come sia possibile essere protagonisti nel mercato dei distillati, offrendo un prodotto di qualità e di origine controllata. Ma andiamo con ordine. La Sicilia è una terra di antiche e nobili tradizioni agricole, che ha saputo conservare e valorizzare i suoi prodotti tipici e le sue eccellenze enogastronomiche. Tra le colture che hanno segnato la storia e la cultura dell’Isola, una delle più affascinanti e dimenticate è quella della canna da zucchero, una pianta tropicale che ha trovato in Sicilia un clima ideale per la sua crescita e trasformazione.

E a proposito di trasformazione, oltre all'”oro bianco” (come veniva definito lo zucchero), risale al 1600, ed esattamente ad Avola (Siracusa) la prima produzione di rum ottenuto dalla fermentazione e distillazione del succo o della melassa di canna da zucchero. La tradizione del rum ad Avola si perse nel tempo, tuttavias, fino a quando, nel 2020, un imprenditore locale, Corrado Bellia, decise di riprendere la coltivazione della canna da zucchero e di realizzare il primo rum 100% siciliano, con il marchio “Avola Rum”. A questo, nei giorni scorsi è stato affiancato anche il primo Rum interamente distillato in Sicilia, a Modica, grazie al sapiente lavoro della distilleria Alma, che lavora al progetto dal 2021. Il rum è prodotto con il metodo “agricolo”, che utilizza solo il succo fresco di canna da zucchero coltivata in Sicilia, senza aggiunta di altri ingredienti. Il succo viene fermentato con lieviti selezionati e distillato in alambicchi discontinui a vapore. Il rum viene poi lasciato maturare in botti di rovere per almeno 12 mesi.

La storia delle origini del rum ha ancora dei lati da far emergere. Di certo, la canna da zucchero in Sicilia fa riecheggiare i segni di un fiorente passato, ancora poco visibile ma tangibile. Un’impronta storica è data dall’inserimento iconografico di quattro culmi di canna da zucchero nel Gonfalone di Acquedolci, un piccolo centro in provincia di Messina, autonomo dal 1969 e che negli anni ’80 ha inserito come simbolo identitario la pianta della canna da zucchero, a memoria della coltivazione e trasformazione in zucchero. Proprio ad Acquedolci esisteva uno dei maggiori Trappeti dell’isola secondo solo a quello di Avola. La testimonianza storica della canna da zucchero in Sicilia è concreta anche a Trappeto, un comune del Palermitano il cui nome già rimanda a questa florida tradizione, avvalorata dal prof. Orazio De Guilmi, uno dei più autorevoli conoscitori della materia nonché tra i più stretti collaboratori del noto sociologo Danilo Dolci.

“In un tempo in cui il mondo attuale sembra impazzito con comportamenti che vanno in direzione opposta alla salvaguardia e valorizzazione della natura – commenta De Guilmi – per non parlare dei focolai di guerra, che si muovono verso la catastrofe finale, recuperare memoria e promuovere cultura e progettualità positiva, potrebbe apparire un non senso. Ed invece sta proprio nella necessità di guardare il futuro che occorre partire dalle radici per rendere più vivibile la vita. In questo contesto si inserisce il progetto che vede impegnate Istituzioni pubbliche, storici, aziende illuminate e uomini di cultura, accomunati da passione e amore per la terra di Sicilia”.

“Per restare nel tema illustrerò, brevemente, le origini storiche di Trappeto che hanno un nesso forte con tali problematiche – prosegue De Guilmi -. È ampiamente noto e dimostrato che la canna da zucchero, cannamele, è stata introdotta in Sicilia da parte degli arabi sin dall’ottavo secolo. Ma è con Federico II di Aragona che avviene una vera e propria evoluzione di questa coltura e trasformazione a fini alimentari nel 1307, allorché istituisce le Terre Balestrate, nel territorio prospiciente il mare, ad un tiro di balestra dalla Selva partenia (Partinico in provincia di Palermo). Sarà re Alfonso di Aragona (il Magnanimo) che concederà al suo camerlengo Nicolao de Leonfante le terre Balestrate, con facoltà di coltivare, costruire case e trappeta cum torre. Alla morte di costui le Balestrate vengono ereditate dalla figlia Elisabetta, andata in sposa a Francesco Bologna. Nel 1480 il Bologna incentiva la coltura della cannamela e potenzia il Trappetum cannamelarum, con annessa chiesetta”.

“C’è da dire – dice ancora De Guilmi – che la lavorazione della cannamele, per la cottura della melassa, ha previsto il consumo di enorme quantità di legname, ricavato dal bosco di Partinico, che negli anni è stato spogliato completamente. Sorgono nello stesso periodo molti altri trappeti da cannamela nella Sicilia occidentale ed in quella orientale, ma quello di maggior rilievo nel settore occidentale è quello che in provincia di Palermo ha dato il nome al proprio comune: Trappeto. Va considerato infatti che il trappeto della cannamele era collocato in una posizione particolarmente strategica: in prossimità del mare per consentire la commercializzazione del prodotto e la presenza di molti boschi, da cui trarre legna da ardere per la lavorazione (Partinico e Monreale). Due fattori fondamentali contribuiscono alla fine della coltivazione e lavorazione della cannamele: da un lato la scoperta dell’America, dove la coltivazione intensiva della canna da zucchero ed il basso costo della la rendevano poco remunerativa in Sicilia. In seguito, con l’estinzione della linea ereditaria di Bologna, per cui le terre caddero in abbandono”





 

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