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lunedì 23 giugno 2025

Agricoltura 2030. Riflessioni dei Georgofili"

 WEBINAR GIOVEDI'  26 GIUGNO



Presentazione del Quaderno “Agricoltura 2030. Riflessioni dei Georgofili"
PROGRAMMA
Ore 9.30 - Saluti Istituzionali
Introduce e coordina: Tommaso CinquemaniAgronotizie
Ore 9.45 - Relazione introduttiva
Amedeo Alpi - Vicepresidente Accademia dei Georgofili
Ore 10.15 - Relazioni dei coordinatori Quaderno "Agricoltura 2030"
Marco Vieri Visioni tecnologiche per una nuova agricoltura
Federica Rossi - Il contrasto ai cambiamenti climatici
Giuseppe Scarascia Mugnozza Alberi e foreste, innovazione ed armonia per una futura gestione sostenibile
Simone Orlandini La gestione del suolo e dell’acqua, una sfida da vincere per l’agricoltura del futuro
Piero Cravedi Strumenti e strategie per la difesa delle piante nel terzo millennio
Dario Casati Verso una nuova PAC. Rapporto con la società, legame con il territorio, logiche economiche e produttive
Ferdinando Albisinni Le regole dell’agricoltura fra produzione e sostenibilità: un equilibrio incerto
Marco Aurelio Pasti Produzioni vegetali e animali per una alimentazione sostenibile
Andrea Sonnino - Innovazione e conoscenza per l’agricoltura 2030
Ore 12.00 - Conclusioni
Sen. Elena Cattaneo - Università degli Studi di Milano, Accademia dei Georgofili

ISCRIZIONI QUI (IN PRESENZA E ON-LINE) 

Scarica la Locandina

sabato 14 giugno 2025

agricoltura rigenerativa, la lobby!

 

  Vi ricordate la finanza creativa di qualche anno addietro? ecco a voi l'agricoltura rigenerativa. Che hanno in comune?...il fumus 

 

Una nuova lobby agricola che spinge per un'”agricoltura rigenerativa” si sta facendo strada nei circoli della politica agricola dell’UE, ma non tutti ne sono entusiasti.

Diffusa negli Stati Uniti, dove il mercato del biologico ha faticato a prendere piede, l'agricoltura rigenerativa sta ora guadagnando slancio anche in Europa. Una lobby guidata dagli agricoltori, l'Alleanza Europea per l'Agricoltura Rigenerativa (EARA), ha appena pubblicato il suo primo importante rapporto e sta intensificando le sue attività di sensibilizzazione a Bruxelles.

Il termine "rigenerativo" è stato coniato per la prima volta negli anni '80 dal Rodale Institute negli Stati Uniti, un'organizzazione che sostiene la ricerca sull'agricoltura biologica e si riferisce alle pratiche agricole volte a ripristinare la salute del suolo e a potenziare gli ecosistemi.

"Siamo qui per un lungo periodo", ha detto a Euractiv Meghan Sapp, direttrice delle relazioni esterne dell'EARA e agricoltrice rigenerativa nel nord della Spagna.

A differenza dell'agricoltura biologica, che è rigidamente regolamentata dalla legislazione dell'UE, "regen" è più flessibile e si concentra su politiche olistiche di gestione del territorio volte a migliorare le condizioni dei terreni agricoli, senza escludere l'uso di sostanze chimiche.

Sapp ha sottolineato che l'EARA desidera "un posto al tavolo" nel processo decisionale di Bruxelles, insieme ad associazioni come Copa-Cogeca, CEJA, La Via Campesina e IFOAM.

"Abbiamo già fatto passi da gigante in un lasso di tempo molto breve", ha aggiunto, citando un diffuso "vuoto di conoscenza" sull'agricoltura rigenerativa.

Standard sfocati

L'EARA definisce l'agricoltura rigenerativa in modo ampio e, cosa fondamentale, non proibisce i pesticidi o i fertilizzanti sintetici, comprese sostanze controverse come il glifosato, che sono vietate dalle norme biologiche dell'UE.

Per il settore biologico dell'UE, che rappresenta l'11% dei terreni agricoli dell'UE , il termine "rigenerazione" sembra più una lezione magistrale di pubbliche relazioni che una rivoluzione agricola, che potrebbe distogliere l'attenzione e le risorse dall'industria biologica, consolidata da tempo.

"Il termine in sé è fantastico, tutti vogliono essere 'rigenerati'", ha affermato Eric Gall, vicedirettore di IFOAM Organics, la lobby con sede a Bruxelles che rappresenta i produttori biologici europei.

"Vogliono apparire come qualcosa di nuovo (...) e il biologico, in un certo senso, è vecchio. È regolamentato dall'UE fin dagli anni '90", ha aggiunto.

L'EARA è stata fondata nel novembre 2023 da 25 agricoltori e 25 donne, definiti "pionieri" dall'organizzazione. Attualmente conta 84 "agricoltori pionieri", molti dei quali praticano già l'agricoltura biologica.

"Sono bravi a comunicare, ma cercare di coltivare senza pesticidi (...) non è del tutto pionieristico", ha affermato Gall.

Lo scontro dell'IFOAM con l'agricoltura rigenerativa non è la sua prima battaglia sul green branding. L'anno scorso, la lobby del biologico ha celebrato una vittoria legale in Francia sull'etichetta alimentare "Eco-score", sostenendo che ingannerebbe i consumatori appropriandosi del linguaggio biologico.

Sapp ha ribattuto che l'agricoltura biologica "non è sempre rigenerativa" e che le pratiche rigenerative vanno oltre. "Si tratta di un'estrema diversità (...), fotosintesi tutto l'anno, copertura del suolo; ecco perché parliamo di pionieri", ha detto.

Allo stesso tempo, ha sottolineato che l'EARA mira a essere inclusiva. "Vengo da una posizione fortemente contraria al glifosato (...), ma abbiamo anche un membro che ne usa una quantità molto piccola nella sua azienda agricola", ha affermato.

Porta aperta al greenwashing?

Dall'altra parte dell'Atlantico, le accuse di greenwashing si stanno moltiplicando. Friends of the Earth US ha analizzato i dati del Dipartimento dell'Agricoltura degli Stati Uniti (USDA) e ha scoperto che la maggior parte delle cosiddette aziende agricole "rigeneranti" con semina diretta fa affidamento anche su pesticidi sintetici, fertilizzanti e OGM.

"La semina diretta generalmente aumenta l'uso di erbicidi nei sistemi agricoli convenzionali, poiché gli agricoltori non utilizzano la lavorazione del terreno per gestire le erbe infestanti", ha dichiarato a Euractiv la dott.ssa Kendra Klein, la scienziata che ha redatto il rapporto. Sostiene che gli agricoltori biologici "sono gli agricoltori rigenerativi per eccellenza", con l'ulteriore vantaggio di essere "sottoposti a rigorosi standard legali".

Fa notare inoltre che importanti aziende agroalimentari come Tyson Foods, ADM, Cargill e Bayer stanno ora promuovendo – o finanziando – la semina diretta sotto l'egida della rigenerazione.

Nel rapporto dell'EARA, il colosso alimentare Unilever è indicato come "pioniere del settore privato", ma Sapp ha affermato che l'azienda non sta erogando finanziamenti e sta semplicemente cercando di imparare dagli agricoltori rigenerativi.

Tornato a Bruxelles, Gall ha criticato gli attori della rigenerazione in Europa per non aver denunciato il greenwashing nella rigenerazione quando avrebbero potuto farlo. "Finora non l'hanno fatto", ha detto Gall. "E vediamo il rischio di un'azione politica divergente che si allontani dal biologico".

L'EARA, tuttavia, ha distanziato il movimento di "rigenerazione" europeo dalla sua controparte statunitense. Sapp ha sostenuto che l'agricoltura sostenibile non dovrebbe consistere nell'"imporre lo 0% di nulla", ma piuttosto nel creare percorsi di transizione per incoraggiare gli agricoltori convenzionali ad adottare pratiche migliori.

"Non si può passare da un approccio convenzionale a zero pesticidi, zero input da un giorno all'altro... è come aspettarsi che qualcuno che gioca ai videogiochi tutto il giorno corra una maratona il giorno dopo", ha aggiunto.



venerdì 13 giugno 2025

REGOLAMENTO (UE) 2024/3012 certificazione dell’Unione per gli assorbimenti permanenti di carbonio, la carboniocoltura e lo stoccaggio del carbonio nei prodotti

                       REGOLAMENTO (UE) 2024/3012 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 27 novembre 2024 che istituisce un quadro di certificazione dell’Unione per gli assorbimenti permanenti di carbonio, la carboniocoltura e lo stoccaggio del carbonio nei prodotti

                           NinoSutera

    Dopo un lungo iter, è stato emanato a fine novembre 2024 il Regolamento Europeo che stabilisce la terminologia e i metodi di calcolo per la certificazione volontaria degli assorbimenti di carbonio, la carboniocoltura e lo stoccaggio di questo elemento nei prodotti. Il Regolamento è uno strumento importante per il raggiungimento dell’obiettivo della neutralità climatica dell’Unione entro il 2050 e riguarda tutte le attività antropiche, non solo quelle agricole. Allo stesso tempo le implicazioni per l’agricoltura europea, e per alcune filiere in particolare, sono di grande rilievo. Dal punto di vista terminologico, il Regolamento chiarisce che il carbonio biogenico comprende la biomassa vivente, la lettiera, il legno morto, la materia organica morta, i suoli minerali e i suoli organici elencati nell’allegato I del Reg. (UE) 2018/841.

Inoltre, per assorbimento permanente del carbonio si intendono le pratiche o i processi che catturano e immagazzinano carbonio biogenico per diversi secoli, mentre la carboniocoltura comprende le pratiche o i processi svolti per almeno cinque anni che determinano la cattura e lo stoccaggio temporaneo di carbonio (atmosferico o biogenico) in comparti di carbonio biogenici o la riduzione delle emissioni dal suolo. Infine, lo stoccaggio del carbonio nei prodotti comprende pratiche o processi che catturano e immagazzinano carbonio atmosferico o biogenico per almeno 35 anni in prodotti di lunga durata. L’unità di misura è la tonnellata metrica di CO2 equivalente del beneficio netto di assorbimento permanente certificato del carbonio legato ad un’attività di assorbimento e verificata da un sistema di certificazione; pertanto, l’unità di riduzione delle emissioni dal suolo corrisponde ad una tonnellata metrica di CO2 equivalente in termini di riduzione certificata delle emissioni dal suolo generata dalla carboniocoltura e registrata da un sistema di certificazione. Per quanto riguarda il calcolo, il beneficio netto in termini di assorbimento temporaneo del carbonio è quantificato sottraendo le emissioni dirette ed indirette di gas a effetto serra durante l’intero ciclo di vita dell’attività dal totale degli assorbimenti ottenuti per effetto della attività stessa depurati del totale di carbonio assorbito nel contesto di riferimento (livello base). Proprio la determinazione del livello base, la cui scala geografica non è stata ancora definita, diventa quindi decisiva ai fini del calcolo dei benefici associati alle attività di rimozione del carbonio, ma su questo il legislatore non si è ancora pronunciato.  regolamento UE


martedì 10 giugno 2025

Agrobiodiversità, e i tuttologi della domenica

              NinoSutera 

 

 

                        ...si, lo sò,  il titolo è un pò aggressivo, forte, improprio, ma cercherò di argomentare il perché.

Cercherò di esplicitare perché in italia una volta, quando giocava la nazionale come per magia si materializzavano 50 milioni di commissari tecnici,in Sicilia mentre sembrerebbe quasi, che tutti possono scrivere di tutto, anche di tematiche che conoscono poco, come dire non è il loro "campo da gioco", ne tanto meno per sentito dire, o per aver letto un articolo dove le agroindustrie del nord europa criticano le politiche UE, sia sufficiente a diventare "esperto"

Chi come me, Divulgatore Agricolo,  aveva  una mission e una vision,  azionare le leve del cambiamento,  ha vissuto e forse è stato anche artefice dell’attuazione dei regolamenti comunitari agroambientali degli anni 90, con intense attività divulgative e informative, non può far finta di niente, o peggio,  sconfessare quella filosofia, quella strategia, che con dati alla mano è stata più che mai azzeccata e lungimirante.

Perché vedete, se oggi la Sicilia è la prima regione d’Europa con maggior superficie a biologico, se oggi la Sicilia ha quasi raggiunto gli obiettivi del gree deal,  non è per caso, ma è frutto di un’intensa attività sinergica tra politica, tecnica e burocrazia, che ha consentito di raggiungere risultati straordinari, riconosciuti da più parti.

Per non parlare della L.R. 21 del 29 luglio 2021, sull’Agroecologia, in continuità con le attività poste in essere negli anni, certo che aggiungono anche nuovi vincoli, traguardati però a nuovi obiettivi.

Vi invito a leggere un estratto contenuto in una pubblicazione dell’INEA, del 1997, proprio a dimostrazione del fatto, delle due,  una,  o abbiamo sbagliato tutto noi, oppure quelli che sposano a priore le argomentazioni delle agroindustrie del nord europa, vivono fuori del tempo in cui viviamo.

L’ATTUAZIONE DELLE MISURE AGROAMBIENTALI IN SICILIA*

 1 Il programma agroambientale La Regione Siciliana ha predisposto il “Programma Pluriennale Regolamento CEE 2078/92” in attuazione del reg. 2078, che è stato approvato dalla Commissione Europea nell’ottobre del 1994. La redazione del piano siciliano è stata curata da funzionari regionali assistiti da esperti tecnici, dalle Organizzazioni Professionali e dalle Sezioni Operative di Assistenza Tecnica. La Sicilia non ha messo a punto una zonizzazione del territorio, considerando più efficace una strategia di intervento a carattere integrato sulla base di un unico programma a valenza regionale in quanto ha ritenuto che le differenziazioni strutturali del tessuto produttivo, seppur di notevole rilevanza, non giustificassero un’applicazione diversificata del regime di aiuti. L’eventuale differenziazione nella localizzazione degli interventi è stata addirittura ritenuta controproducente. Il piano zonale, dopo aver illustrato le caratteristiche del territorio e le problematiche dei principali comparti agricoli (cereali, foraggere, ortaggi e fiori, vite, agrumi, frutta), definisce gli obiettivi da perseguire, che riproducono essenzialmente quelli del regolamento, schematizzati come di seguito: - promuovere l’impiego di metodi di produzione a basso impatto ambientale; - incoraggiare metodi di utilizzazione dei terreni compatibili con le esigenze dell’ambiente; - promuovere il miglioramento delle risorse naturali e genetiche; - incentivare la cura dei terreni abbandonati; - favorire il ritiro a lungo termine dei seminativi e la loro utilizzazione a fini ambientali; - curare la formazione degli agricoltori, educandoli ai problemi dell’ambiente. In questa ottica, con la concessione dei finanziamenti si vuole agire, contemporaneamente, in due diverse direzioni. Da un lato si punta alla riduzione delle produzioni accompagnata da un concreto miglioramento dell’aspetto qualitativo con conseguente possibile apertura di nuovi spazi di mercato, visto che oggi il consumatore diventa sempre più esigente in fatto di qualità e tutela della propria salute. Dall’altro lato si vuole sostenere il reddito degli agricoltori, evitando l’abbandono delle aree rurali, garantendo modi di produzione rispettosi dell’ambiente e frenando i fenomeni di dissesto idrogeologico. Con le suddette finalità sono state attivate, nel quadriennio 1994-97, le misure elencate in tabella 12. Il piano prevedeva anche attività formative, con l’attuazione di 18 corsi e 30 seminari annuali, e progetti dimostrativi, con la realizzazione di circa 360 campi sperimentali per la divulgazione delle tecniche di produzione ecocompatibili e di tutela del paesaggio. Negli anni successivi sono state apportate alcune integrazioni e modifiche3, che hanno riguardato in particolare l’adeguamento dei disciplinari degli interventi ammessi per realizzare una sensibile riduzione nell’impiego dei fitofarmaci (misura A1) e l’introduzione di nuove procedure nei sistemi di controllo e di alcune sanzioni previste in caso di mancato assolvimento degli impegni assunti

INEA

domenica 8 giugno 2025

L'Europa verde tra qualunquismo e fake news

                                                                                                                                                                                                                                                                                                        NinoSutera 

coordinatore 

European Rural Parliament Italy

  

https://www.reterurale.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/24318 

Bisogna saper comprendere le differenze  per capire il conflitto.

Ricordiamo nelle premesse che,  la PAC esiste solo ed esclusivamente perchè i consumatori, contribuenti, cittadini europei, ovvero azionisti di maggioranza,  continuano a pagare le tasse,  per alimentare il sistema dei sussidi della PAC

Nel corso dei sessanta anni di vita, la PAC ha subito frequenti evoluzioni, proprio perchè gli “azionisti di maggioranza” sono diventati molto esigenti.

Una sorta di vero scambio,  io cittadino europeo continuo a sostenere il mondo agricolo, pagando le tasse, tu  agricoltore adotti una serie di soluzioni, a favore dell'ambiente, dell'alimentazione e del prossimo.

In tanti fanno finta di ignorarlo, ma se si dovesse interrompere questo patto tra galantuomini, il mondo agricolo non ne trarrebbe nessun beneficio, anzi!  

           Uno degli obiettivi dei padri fondatori della comunità economica europea,CEE così si chiamava una volta,era quella di assicurare pace e prosperità al suo popolo.Per fare ciò, il mondo agricolo, che rappresentava la fetta più consistente dell Europa unita è stata destinataria di finaziamenti a go-go rendendola da una parte un oasi, dall’altra dipendente dall’assistenza. Nell’Europa agricola, qualsiasi cosa è stata oggetto di finziamento pubblico attraverso la PAC. In parole povere assistenza pura, certo non tutti gli agricoltori ne hanno beneficiato in ugual misura. Chiaramente in un Europa a 9 o a 15 tutto era molto più semplice, in un Europa allargata, un po meno, in pratica non ci sono più le risorse per tutti.Le politiche a favore dell’ambiente non c’entrano niente, non sono responsabili della crisi, semmai l’aumento dei costi di produzione a causa della guerra si, sono i responsabili numero uno, anche se non da soli. Per fare un esempio il costo del carburante agricolo prima della guerra era di 0.67 centesimi di euro, oggi 1.20 euro.Solo per i non addetti ai lavori la responsabilità è da addebitare al Farm to Fork. Una strategia chiave dell’Unione europea nell’ambito del Green Deal, con l’obiettivo di rendere il sistema alimentare più sostenibile dal punto di vista ambientale e a migliorare la salute dei cittadini.  Al contrario Farm to Fork rappresenta un opportunità dell’Europa Agricola, del sud Europa, dove come è noto le condizione agroclimatiche consentono di produrre nel pieno rispetto dell’ambiente e della natura, anche con basso apporto di mezzi tecnici (chimica in primes, pesticidi, che come è stato accertato dalla ricerca, proprio bene alla salute non fanno.)

In questo contesto si inseriscono le fak news, i talebani e gli integralisti e per finire i tuttologi, come dire tutti hanno una funzione, creare e alimentare confusione, perchè come scriveva Tomasi di Lampedusa, “

"Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”

  Bisogna riscrivere le regole del gioco, una nuova stagione di Riforma Agraria,  tenendo conto delle esigenze degli “azionisti di maggioranza” e non di una piccola lobby economica-finanziaria, infatti:

1) Le aziende agricole a conduzione familiare producono più  dell'80% del cibo nel mondo

2) Le fattorie familiari occupano il 70-80% dei terreni agricoli in tutto il mondo

3) Le donne detengono solo il 15% di terreno agricolo, mentre forniscono quasi il 50% della manodopera agricola

4) Più del 90% delle aziende agricole sono gestiti da un individuo o una famiglia che fa affidamento principalmente sul lavoro familiare

5) L'80% delle risorse europee va a una piccola lobby (20%)di aziende capitaliste.

6)  L’81% dei Azionisti di maggioranza,(cittadini, contribuenti, consumatori, piccole e medie aziende agricole) si dicono preoccupati per l’impatto ambientale dei pesticidi e per il 75% hanno timori rispetto all’impatto dei pesticidi sulla salute umana, come riporta un recente sondaggio della società di analisi di mercato Ipsos.

Il ruolo delle  fake news.

1) Non è vero che il green deal danneggia produttori e consumatori, è un programma ambientale progettato e creato allo scopo di agevolare i percorsi di decarbonizzazione ed è uno strumento necessario per contrastare gli effetti della crisi climatica: di fatto costituisce il rimedio e non il male.

2)  Non è vero che l’utilizzo dei pesticidi è indispensabile a salvare l’agricoltura, la verità è che il loro utilizzo non garantisce di poter contare su una maggiore resa agricola o di salvaguardare le colture ma è dannoso sia per la conservazione degli ecosistemi che per la salute umana e favorisce la dipendenza dalla chimica del modello agricolo attuale.

3) Non è vero che l’Europa obbliga a non coltivare il 4% dei terreni per speculare sul lavoro degli agricoltori, si tratta invece di una misura che nasce allo scopo di favorire la difesa dall’erosione e dal dissesto idrogeologico, l’incremento della fertilità dei suoli e la tutela della biodiversità grazie ad aree incolte, siepi, boschetti, stagni e servizi ecosistemici.

4) Così come è falso pensare che l’Europa voglia sostituire i cibi tradizionali con quelli sintetici. La carne coltivata non è ancora disponibile in Europa e, dunque, in Italia. Al netto di ciò, è bene chiarire che, comunque, non potrebbe sostituire la carne prodotta da allevamento tradizionale. Il vero problema è, infatti, il modello di allevamento zootecnico intensivo che non rispetta il benessere animale e provoca l’inquinamento di acqua aria e suolo.(cronaca di questi giorni in alcune regioni del nord)

Agroindustria contro l'agricoltura mediterranea

  


L'agricoltura o le agricolture? 

La diatriba di questi giorni, può essere tranquillamente ridotta a un conflitto, tra agroindustria super intensiva (nord e europa) con interessi inconfessabili, e l'agricoltura mediterranea,  rappresentata  da piccole e medie aziende a conduzione familiare, che non ha niente da dividere con la prima.


Dedichiamo questo scritto a una prima riflessione sull’agricoltura contadina, non prima di ribadire dei concetti base:

 -      L'80% delle risorse europee va a una piccola lobby (20%)di aziende capitaliste. 

  -   L’81% dei Azionisti di     maggioranza,(cittadini, contribuenti, consumatori) si dicono preoccupati per l’impatto ambientale dei pesticidi e per il 75% hanno timori rispetto all’impatto dei pesticidi sulla salute umana, come riporta un recente sondaggio della società di analisi di mercato Ipsos. 

  -   Le strategie del Green Deal, come la Strategia Farm to Fork e la Strategia Biodiversità 2030, sono politiche lungimiranti 

Seppure oggetto di dibattito internazionale da quasi un secolo, è stata generalmente considerata marginale, ritenendo erroneamente che fosse destinata a scomparire sotto i colpi del processo di modernizzazione. Tuttavia, alcuni elementi qualificanti di questa agricoltura – assunta come inefficiente, improduttiva ed arretrata – costituiscono quella che emerge essere la forma più diffusa, in Italia e nel mondo, di coltivazione: l’agricoltura familiare, ritornata al centro di un intenso dibattito  

Molteplici sono stati gli studi specificatamente incentrati sulla persistenza e trasformazione del modo di produrre contadino (Cavazzani 2009; Corrado 2013a, 2013b; Giunta 2014; Pérez-Vittoria 2007; Pieroni, 2008; Van der Ploeg 2006, 2009; Vitale 2013; Sivini 2013a; 2013b). Alla luce di questi studi, ma soprattutto delle dinamiche di mobilitazione e rivendicazione tradotte in proposte politiche, con questa raccolta di contributi si è focalizzata l’attenzione sulle proposte di legge in discussione per comprendere quale sia lo spazio per l’agricoltura contadina in Italia.

L’intervento di Antonio Onorati fa il punto sulle condizioni e le prospettive delle “agricolture” italiane. Da una parte vi è l’industria agroalimentare orientata all’esportazione, sempre meno italiana nonostante l’intenso intervento pubblico, considerata strategica nel rispondere attivamente alla crisi dell’agricoltura ed alla caduta dei consumi, rilanciando il Made in Italy.
Onorati dimostra come all’esiguità del numero di imprese di grandi dimensione capaci di proiettarsi sui mercati globali, superando gli alti costi d’ingresso, corrisponde un dominio sul comparto tanto forte da determinare le politiche pubbliche e esercitare una competizione, a tratti sleale, nei confronti dell’intera agricoltura italiana. Ciò avviene soprattutto a scapito di quelle piccole e medie aziende dell’agroalimentare che, grazie ad un carattere fortemente territoriale, dovrebbero essere, scrive Onorati, “il riferimento assoluto del ‘Made in Italy’”perché capaci di realizzare prodotti alimentari “eccellenti” ed “inimitabili”. É proprio su queste piccole e medie aziende che si esercita la pressione verso l’abbassamento dei prezzi pagati alla produzione agricola. Dall’altra parte vi è l’agricoltura contadina, articolata su una miriade di piccole e piccolissime imprese agroalimentari. Fondata su una razionalità economica centrata sull’acquisizione di reddito (esclusivo o aggiuntivo) attraverso il lavoro, fortemente radicata nei territori e prevalentemente orientata al mercato locale, ha sviluppato una gestione dell’attività produttiva finalizzata all’autonomia, almeno relativa, dal mercato. Essa rimane, dice Onorati, la struttura su cui continua a poggiare il sistema agroalimentare italiano, nonostante la competizione iniqua con il modello agricolo industriale dominante.

Questo modo di produrre, dunque, lungi dall’essere un problema, rappresenta non solo una risorsa per la sostenibilità dello sviluppo economico italiano ma, più in generale, per la salvaguardia e la valorizzazione delle dimensioni sociali ed ecologiche del sistema agro-alimentare. Queste, ci sembrano, le considerazioni più importanti che hanno portato alle proposte di legge che il parlamento non è stato capace di approvare, per interessi ostili.

 L’articolo di Isabella Giunta ne sintetizza i tratti salienti, mostrando come tali proposte, inserendosi nelle pieghe della “svolta verde” della Comunità Europea e dell’attenzione verso l’agricoltura familiare della Fao, siano innanzitutto il risultato di un intenso ed effervescente dibattito sociale, stimolato a livello internazionale dai movimenti contadini, e nei territori da diverse iniziative innovatrici   Un dato che ci sembra emergere da questo dibattito, in parte riflesso nelle proposte di legge, riguarda una serie di elementi che specificano l’agricoltura contadina rispetto alla categoria di agricoltura familiare, la quale, come è noto, nella formulazione della Fao si riferisce al controllo ed alla gestione familiare dei più importanti fattori produttivi (terra e lavoro), con esplicito riferimento alle funzioni economiche, ambientali, sociali e culturali (Fao 2014). Ci sembra che l’innovazione apportata dalla riflessione sull’agricoltura contadina sia la qualificazione di queste dimensioni e delle interconnessioni interne che permettono di prospettare un sistema locale di produzione. Così, nella difesa della “dignità del lavoro” e nella richiesta di rendere ad esempio accessibili le terre demaniali, terra e lavoro cessano di essere concepiti come meri fattori produttivi, acquisendo una natura sociale legata, rispettivamente, all’attività lavorativa come spazio di esistenza e fonte di reddito ed alla terra come bene comune o comunque collettivo; da qui, si comprende come l’elemento soggettivo della produzione (il lavoro) possa avere con la terra non esclusivamente un rapporto di proprietà (privata), ma una miriade di relazioni “altre”, che le analisi sulle società non capitalistiche hanno spesso classificato sotto le nozioni di uso e possesso. Nella medesima logica, il rimando all’agroecologia, alla biodiversità e all’economia solidale prospettano la necessità di tener in conto gli effetti sociali ed ecologici sull’ambiente circostante.

Quest’ultimo nesso, e le sfide aperte dal riconoscimento istituzionale del modo di produrre contadino, viene affrontato nell’articolo di Adanella Rossi e Davide Biolghini, con riferimento all’economia solidale quale “particolare cornice di senso” entro cui l’agricoltura contadina multifunzionale interagisce con i contesti socio-ambientali in cui opera. L’enfasi qui è sulla “gestione etica dell’attività” e delle risorse locali, tema intorno al quale si sono sviluppate una molteplicità di pratiche sociali innovative quali, per esempio, i civic food networks.

Evidentemente, una delle sfide cruciali insite nel riconoscimento istituzionale riguarda l’insieme delle condizioni capaci di garantire la riproduzione, secondo la sua specifica razionalità, del modo di produrre contadino. L’articolo di Yvonne Piersante affronta una delle condizioni interne essenziali del processo di riproduzione, ossia il controllo sulle sementi quale diritto collettivo, percorso già intrapreso, anche se molto timidamente, dalla Fao, ma centrale nella proposta Zaccagnini. L’autrice mostra come da questo diritto dipenda il recupero, la conservazione e l’ulteriore sviluppo della biodiversità e, più in generale, della cura del territorio.



L’intervento di Giuseppe Gaudio e Palmerino Trunzo, infine, affronta una questione fondamentale non solo per l’agricoltura contadina, ma in generale per l’agricoltura italiana: il ricambio generazionale, che è trasmissione di conoscenza e saperi produttivi. Non si tratta soltanto di favorire l’accesso alla terra in un momento in cui il “ritorno in agricoltura”, emerso come nuovo fenomeno sociale, è sempre più caratterizzato dall’attenzione all’ambiente, al paesaggio, all’inclusione sociale, alla qualità della vita: “una sfida etica e culturale prima che tecnica”, scrivono i due autori. Si tratta anche di predisporre politiche pubbliche capaci di accompagnare questo processo, prospettando un approccio globale ed integrato. Dal momento che sono proprio le ‘generazioni future’ ad essere continuamente chiamate in causa nei documenti istituzionali sulla sostenibilità, in realtà, esse non possono essere pensate solo come destinatarie: i giovani devono infatti essere parte costitutiva del processo che li riguarda.

L’approvazione di una legge per l’agricoltura contadina, a tutela della sua specificità e che ne valorizzi l’eterogeneità, può essere un importante strumento per costruire spazi di manovra e di agibilità politica, necessari non solo alla resistenza e alla riproduzione delle piccole e medie aziende contadine, ma anche per costruire percorsi di innovazione economica e sociale, per la gestione dei beni comuni, per rispondere ai bisogni sociali, per creare reddito e impiego, per dare riconoscimento e fare emergere pratiche e circuiti economici, oggi in parte informali, finalizzati all’autoconsumo o ai consumi locali. Tale strumento potrebbe essere particolarmente importante per le aree interne o montane (di cui si occupa anche questo numero), in cui l’agricoltura e l’allevamento soffrono spesso ulteriori vincoli, fisico-spaziali, ambientali, socio-demografici ed infrastrutturali. Ma, in generale, si produrrebbe un utile quadro, adatto all’eterogeneità dei soggetti produttivi presenti nelle campagne italiane, entro cui imprimere una nuova dinamicità ai processi di sviluppo rurale, per sperimentare nuove politiche e pratiche per la sovranità alimentare e l’economia solidale, a livello locale e regionale. Certamente, l’approvazione di questa legge sarebbe un importante passo nel cammino verso l’istituzionalizzazione della proposta della sovranità alimentare, promossa dai movimenti sociali a livello internazionale, a cui altri paesi membri e le istituzioni europee potrebbero guardare con interesse, come già sta facendo la Fao. Ciò comporta ripensare la questione agraria come “questione del cibo”, ponendo particolare enfasi sulla necessità di promuovere la riterritorializzazione dei sistemi alimentari, in modo da favorire forme di produzione e consumo ecologicamente e culturalmente appropriate. In questo senso, riconoscere giuridicamente l’esistenza del soggetto produttivo contadino, con le proprie specificità e il connesso diritto a vederle rispettate grazie a misure e strumenti appropriati, significa anche promuoverne il ruolo cruciale svolto nella garanzia dell’accesso al cibo per tutti. Vale la pena, infatti, sottolineare che, secondo stime della Fao (2014), queste agricolture assicurano alla popolazione mondiale attuale, sempre più concentrata nelle aree urbane o metropolitane, più dell’80% degli alimenti consumati su scala globale. Il ricco dibattito a livello internazionale, ospitato in particolare dalla rivista Journal of Peasant Studies, evidenzia alcune criticità: i processi di proletarizzazione, la crescita della popolazione urbanizzata e il conseguente aumento della domanda di cibo nelle città, le differenti possibilità di accesso ad un “cibo di qualità” in funzione dell’appartenenza di classe, le condizioni del lavoro all’interno del sistema agroalimentare, l’organizzazione dei mercati e dei circuiti di distribuzione (si veda in particolare il dibattito tra Henry Bernstein e Philip McMichael). Evidentemente, si tratta di questioni aperte, su cui i movimenti sociali e contadini, insieme alla ricerca, devono continuare ad interrogarsi, sollecitando soluzioni politiche

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