Giuliana Cattarossi, Giovanni
Colugnati
Colugnati&Cattarossi, Partner
Progetto PER.RI.CON.E.
Per cercare di capire quanto complesso il patrimonio vitivinicolo nativo o minore, possiamo dare uno sguardo ai Registri che elencano le varietà di vite coltivate in alcuni importanti Paesi viticoli mediterranei, come Italia, Francia, Grecia e Spagna. Tali registri indicano che i vitigni da vino ufficialmente registrati nel nostro Paese, considerando solo quelli autoctoni (dunque escludendo quelli provenienti da altre nazioni o ottenuti per incrocio), sono circa il doppio di quelli catalogati in Francia ed in Grecia e quasi il triplo di quelli riportati per la Spagna.
Se si considerano invece i vitigni autoctoni nel loro insieme, ovvero
presenti sul territorio o in collezione, ma non necessariamente riconosciuti
ufficialmente, questi sono circa 400 in Francia (Lacombe, 2002) e intorno ai
2000 o forse più nel nostro Paese (Schneider, o.c.), basata sul cospicuo numero
di vitigni minori, rari e in via di abbandono (oltre 300) recuperati negli
ultimi 15 anni nella sola Italia Nord-Occidentale.
Ci si potrebbe chiedere perché proprio l’Italia, tra i numerosi altri Paesi
viticoli europei, è forse il più ricco di “ampelo-diversità”. Le ragioni
sono numerose, ma tra le principali va ricordata la posizione geografica della
nostra penisola che, protesa al centro del Mediterraneo, è sicuramente servita
da ponte, da zona di passaggio tra Nord e Sud, tra Est ed Ovest, per le diverse
specie alimentari mediterranee e per le loro varietà, portate dai numerosi
popoli che hanno occupato o percorso il nostro Paese.
Anche la frammentazione ecologica dell’Italia, un territorio
orograficamente complesso, formato da ambienti spesso molto diversi, ha svolto
un ruolo importante (Colugnati et al., 2015) nella differenziazione di forme
adattate a situazioni differenti; e lo stesso si può dire per la frammentazione
socio-economica e politica italiana, durata ben più a lungo che negli altri
Paesi viticoli. Va ricordato ancora uno sviluppo tecnico ed economico più lento
ed una ritardata affermazione dell’economia di mercato (soprattutto in certe
regioni), unitamente all’avvento più tardivo dei parassiti della vite di
origine neartica, che hanno invece colpito i Paesi d’Oltralpe, e soprattutto la
Francia, in modo repentino e violento, determinando un’improvvisa e rapida
evoluzione dell’assortimento varietale.
Quanto alla ripartizione delle superfici delle poco più di 300 varietà di
vite autoctone iscritte nel Registro italiano, un centinaio di esse sono
coltivate su più di 1.000 ha ciascuna, mentre ben 185 non raggiungono
singolarmente i 1.000 ha di superficie e per molte di esse si sono registrate
aree colturali di pochi ettari soltanto (ISTAT, Censimento Agricoltura 2000).
Si può allora affermare che l’Italia è una vera e propria “miniera a
cielo aperto” di vitigni autoctoni, ma la maggior parte di essi, di
modestissima importanza colturale, sono in generale assai poco conosciuti.
Uno sforzo deve dunque essere rivolto alla conoscenza dei vitigni autoctoni
italiani, fra cui i minori, i locali, sono certamente quelli su cui le
informazioni sono più limitate e frammentarie, anche se molte sono le
iniziative in atto (il Progetto PER.RI.CON.E: ne è testimonianza).
In un progetto rivolto all’enologia varietale, però, si deve adottare un
approccio del tutto originale ed innovativo: si parte dal fatto che ogni
territorio ha i suoi vitigni autoctoni (o tradizionali), ed un’azione che porti
alla loro riuscita valorizzazione comporta la conoscenza approfondita di quel
vitigno (o di quei vitigni) e la ricerca delle tecniche colturali ed enologiche
che possano esaltarne le componenti varietali, ottenendone vini che sono, in
definitiva, espressione di un territorio.
I fattori genetici, ovvero quelli intrinseci, propri di un vitigno, sono
tra gli aspetti che incidono più fortemente sulla composizione delle uve e
vanno studiati in relazione alla componente ambientale (adattabilità o reazione
all’ambiente), colturale (tecniche di allevamento) e fisiologica (soprattutto
riguardante il processo di maturazione).
Gli studi di genomica funzionale in vite, per la verità, sono ancora agli
albori, e proprio per questo rivolti a poche cultivar modello (tra cui si hanno
normalmente vitigni dello standard internazionale) oppure a mutanti, di solito
poco o per nulla utilizzati commercialmente.
I vitigni autoctoni, almeno per ora, sono ancora poco studiati sotto questo
profilo, anche se si prevede che le ricerche siano presto estese ad esplorare
l’ampia diversità genetica offerta dalle numerose cultivar di vite esistenti, e
dunque anche molti vitigni minori.