mercoledì 3 dicembre 2025

Alla riscoperta della canna da zucchero, tra identità e sostenibilità

 

 La canna da zucchero in Sicilia merita di essere riscoperta e valorizzata, non solo per il suo valore storico e culturale, ma anche per le sue potenzialità economiche e ambientali. E la produzione del primo rum made in Sicily, interamente prodotto in terra siciliana, è un segno di come sia possibile essere protagonisti nel mercato dei distillati, offrendo un prodotto di qualità e di origine controllata. Ma andiamo con ordine. La Sicilia è una terra di antiche e nobili tradizioni agricole, che ha saputo conservare e valorizzare i suoi prodotti tipici e le sue eccellenze enogastronomiche. Tra le colture che hanno segnato la storia e la cultura dell’Isola, una delle più affascinanti e dimenticate è quella della canna da zucchero, una pianta tropicale che ha trovato in Sicilia un clima ideale per la sua crescita e trasformazione.

E a proposito di trasformazione, oltre all'”oro bianco” (come veniva definito lo zucchero), risale al 1600, ed esattamente ad Avola (Siracusa) la prima produzione di rum ottenuto dalla fermentazione e distillazione del succo o della melassa di canna da zucchero. La tradizione del rum ad Avola si perse nel tempo, tuttavias, fino a quando, nel 2020, un imprenditore locale, Corrado Bellia, decise di riprendere la coltivazione della canna da zucchero e di realizzare il primo rum 100% siciliano, con il marchio “Avola Rum”. A questo, nei giorni scorsi è stato affiancato anche il primo Rum interamente distillato in Sicilia, a Modica, grazie al sapiente lavoro della distilleria Alma, che lavora al progetto dal 2021. Il rum è prodotto con il metodo “agricolo”, che utilizza solo il succo fresco di canna da zucchero coltivata in Sicilia, senza aggiunta di altri ingredienti. Il succo viene fermentato con lieviti selezionati e distillato in alambicchi discontinui a vapore. Il rum viene poi lasciato maturare in botti di rovere per almeno 12 mesi.

La storia delle origini del rum ha ancora dei lati da far emergere. Di certo, la canna da zucchero in Sicilia fa riecheggiare i segni di un fiorente passato, ancora poco visibile ma tangibile. Un’impronta storica è data dall’inserimento iconografico di quattro culmi di canna da zucchero nel Gonfalone di Acquedolci, un piccolo centro in provincia di Messina, autonomo dal 1969 e che negli anni ’80 ha inserito come simbolo identitario la pianta della canna da zucchero, a memoria della coltivazione e trasformazione in zucchero. Proprio ad Acquedolci esisteva uno dei maggiori Trappeti dell’isola secondo solo a quello di Avola. La testimonianza storica della canna da zucchero in Sicilia è concreta anche a Trappeto, un comune del Palermitano il cui nome già rimanda a questa florida tradizione, avvalorata dal prof. Orazio De Guilmi, uno dei più autorevoli conoscitori della materia nonché tra i più stretti collaboratori del noto sociologo Danilo Dolci.

“In un tempo in cui il mondo attuale sembra impazzito con comportamenti che vanno in direzione opposta alla salvaguardia e valorizzazione della natura – commenta De Guilmi – per non parlare dei focolai di guerra, che si muovono verso la catastrofe finale, recuperare memoria e promuovere cultura e progettualità positiva, potrebbe apparire un non senso. Ed invece sta proprio nella necessità di guardare il futuro che occorre partire dalle radici per rendere più vivibile la vita. In questo contesto si inserisce il progetto che vede impegnate Istituzioni pubbliche, storici, aziende illuminate e uomini di cultura, accomunati da passione e amore per la terra di Sicilia”.

“Per restare nel tema illustrerò, brevemente, le origini storiche di Trappeto che hanno un nesso forte con tali problematiche – prosegue De Guilmi -. È ampiamente noto e dimostrato che la canna da zucchero, cannamele, è stata introdotta in Sicilia da parte degli arabi sin dall’ottavo secolo. Ma è con Federico II di Aragona che avviene una vera e propria evoluzione di questa coltura e trasformazione a fini alimentari nel 1307, allorché istituisce le Terre Balestrate, nel territorio prospiciente il mare, ad un tiro di balestra dalla Selva partenia (Partinico in provincia di Palermo). Sarà re Alfonso di Aragona (il Magnanimo) che concederà al suo camerlengo Nicolao de Leonfante le terre Balestrate, con facoltà di coltivare, costruire case e trappeta cum torre. Alla morte di costui le Balestrate vengono ereditate dalla figlia Elisabetta, andata in sposa a Francesco Bologna. Nel 1480 il Bologna incentiva la coltura della cannamela e potenzia il Trappetum cannamelarum, con annessa chiesetta”.

“C’è da dire – dice ancora De Guilmi – che la lavorazione della cannamele, per la cottura della melassa, ha previsto il consumo di enorme quantità di legname, ricavato dal bosco di Partinico, che negli anni è stato spogliato completamente. Sorgono nello stesso periodo molti altri trappeti da cannamela nella Sicilia occidentale ed in quella orientale, ma quello di maggior rilievo nel settore occidentale è quello che in provincia di Palermo ha dato il nome al proprio comune: Trappeto. Va considerato infatti che il trappeto della cannamele era collocato in una posizione particolarmente strategica: in prossimità del mare per consentire la commercializzazione del prodotto e la presenza di molti boschi, da cui trarre legna da ardere per la lavorazione (Partinico e Monreale). Due fattori fondamentali contribuiscono alla fine della coltivazione e lavorazione della cannamele: da un lato la scoperta dell’America, dove la coltivazione intensiva della canna da zucchero ed il basso costo della la rendevano poco remunerativa in Sicilia. In seguito, con l’estinzione della linea ereditaria di Bologna, per cui le terre caddero in abbandono”





 

La cucina siciliana? ... un'opera d'arte

 

 


Dominazioni millenarie di popoli provenienti da tutto il mondo, eventi storici, politici e religiosi epocali, la Sicilia di oggi è frutto di tutto questo e continua a modificarsi adattandosi ai tempi moderni, senza perdere tutte quelle specificità che la rendono un luogo affascinante. Ed è nella gastronomia che questo valore storico-culturale emerge forte e identitario, mostrando tracce di diverse culture e influenze, di popoli europei e mediterranei, tramandate di generazione in generazione, visibili anche sui monumenti costruiti sull’isola. Ecco come è andata.

 


Fenici, Greci e Romani

Si deve ai Fenici l’utilizzo della conservazione degli alimenti mediante salatura e affumicatura, ma anche una dieta a base di cereali, orzo e farro in primis. Furono invece i Greci ad appassionarci all’olio d’oliva, ad insegnarci ad innestare le viti da vino, creando tradizioni che diedero il via alla viticoltura arcaica che ha tracce fino ai nostri giorni. I Romani furono poi gli autori di una vera e propria rivoluzione gastronomica portando in Sicilia il grano duro detto ‘vestito’ che non perdeva lo stato di maturazione. I ricchi romani iniziarono ad ingaggiare cuochi siciliani che sembra furono gli ideatori della cottura all’interno del pane, creando così gli antenati delle “mpanate”. Sempre ai romani si deve l’introduzione di frutti e spezie fatti arrivare da lontano quali semi di papavero, cannella, chiodi di garofano, zenzero e pepe.



Influenza ebraica

Negli anni della dominazione romana arrivarono in Sicilia anche le comunità ebraiche che si stabilirono sull’isola fino alla fine del XV secolo, quando furono espulse dal regno di Ferdinando e Isabella. Dal loro pane azzimo preparato nel periodo di Pasqua, discendono la scaccia e la vota-vota, ripiene di verdure. Per Capodanno invece il piatto principale sulla tavola erano le triglie allo zafferano, ancora oggi preparate nelle cucine siciliane. E ancora, aglio soffritto nell’olio d’oliva come condimento per le verdure, cottura delle frattaglie. Ebbene sì, hanno origine ebraica, pani ca meusa, quarume, frittula, stigghiole, mussu, masciddaru e carcagnola.



Gli arabi in Sicilia

Ecco un altro spartiacque. La dominazione araba portò il ridimensionamento, la creazione del latifondo, delle piccole e medie aziende agricole dedicate ad arance amare, limoni, mandarini, cotone, riso, gelsi, canna da zucchero, mandorle, nocciole, pistacchi e uva. Nacque la prima rete di irrigazione delle campagne, venne introdotta la distillazione del vino e delle vinaccia e si iniziò a produrre l’alcol per usarlo come disinfettante. Ai distillati vennero aggiunti zucchero, spezie e frutta e nacque il rosolio.

Sul fronte della pasticceria fu un tripudio di forme, colori e profumi e vennero prodotti i primi cannoli e le prime cassate. Sono arabe la creazione del gelato (sherbet, sorbetto), l’arte di essiccare la pasta (spesso condita con le sarde), la preparazione del cous cous, l’uso della carta macinata come ripieno in formati e timballi. E nacque la tradizione dello “street food”. Ma gli arabi lasciarono segni anche sul fronte della pesca (portando tecniche più avanzate di pesca e di conservazione del tonno) e su quello della lingua, il dialetto siciliano ne è testimonianza in molte espressioni tipiche.

La corte dell’imperatore Federico II di Svevia e dei Normanni

Quando Ruggero d’Altavilla sconfisse gli arabi con il suo esercito era il 1063 e ai normanni servirono quasi 30 anni per conquistare tutta la Sicilia e imporre la propria dominazione. Arrivarono il ‘pescestocco’ (stoccafisso) e il ‘baccalaru’ (baccalà). Fu però Federico II, nel 1200, a segnare una rinascita della cucina siciliana. Venne ripresa la tradizione della carne ‘in umido’ della cucina greco-romana ma con l’utilizzo di carne fresca e di erbe aromatiche come basilico, salvia, prezzemolo, timo e menta. Una delle ricette preferite dall’imperatore era il “biancomangiare” (blanc manger), a base di latte e mandorla. Sulla tavola di Federico II arrivarono anche animali come cigni, gru e pavoni, oggi considerati invece soltanto ornamentali. Della cucina araba sopravvissero la gelatina di frutta, quello che oggi conosciamo come “salmoriglio” e la salsa “camellina”, condimenti delicati che arricchivano i banchetti. Curiosità? Del garofano si faceva largo uso nel riso e sembra proprio che in quegli anni venne inventato in Sicilia, e non in Lombardia, il Risotto alla Milanese.

Angioini e Aragonesi

Arrivarono gli Angioini, il centro del Regno di Sicilia fu spostato da Palermo a Napoli e con la rivolta dei Vespri Siciliani, l’isola divenne indipendente. Fu il momento della cucina aristocratica, sia baronale che vescovile. Vennero infatti costruiti castelli e conventi, all’interno dei quali venivano coltivate ricette segrete che riguardavano soprattutto la pasticceria. Nacquero i “Frutti di pasta Martorana’’ grazie alla nobildonna Eloisa Martorana che affidò questo compito a delle monache greche che dalle mandorle creavano il marzapane, per creare decorazioni. L’influenza spagnola fece arrivare in Sicilia prodotti come mais e cioccolato, fagioli, peperoni e peperoncini. E dalle Americhe, giunse il pomodoro. Fino alla metà del XVII secolo fu considerato solo una pianta ornamentale, per molti addirittura velenosa, divenne poi il principe della cucina siciliana come ingrediente principale del sugo. Sicilia e Tunisia, sono i due unici luoghi al mondo in cui alla parola “salsa” si pensa solo alla salsa di pomodoro.

L’aristocrazia, Monsù e la cucina povera

I Monsù, noti chef che andarono a servizio di nobili famiglie, fecero la loro comparsa in Sicilia alla fine del XVI secolo, arrivando dalla Francia. Portarono con loro la cucina barocca e aristocratica, che si affermò tra il XVIII e il XIX secolo. Lo stile della cucina divenne dunque più raffinato e alle tradizioni siciliane si aggiunsero ricette francesi e napoletane. Sulle tavole arrivarono le quiche. Nel frattempo però si arricchiva la cucina dei contadini feudali e dei pescatori delle marine. Le varie ricette tradizionali, tramandate oralmente, iniziarono a essere raccolte e messe per iscritto, e furano le monache e i monaci erboristi a farsene gelosi custodi. Si trattava di ricette che raccontavano storie come quella del “Cascacavaddu all’argintera” che voleva che un argentiere caduto in disgrazia lo cucinasse usando oli profumati e cercando di convincere il vicinato di essere intento a cucinare costose prelibatezze. Nacque il Falsomagro, inizialmente chiamato Rollò, parola di provenienza francese. Ed erano i camerieri e i servitori a rubare le ricette agli chef, reinventando i loro piatti, come è successo per la salsa agrodolce inizialmente creata per la conservazione di pesce e carne, poi usata per melanzane e carciofi della Caponata.

 


Storia recente

Furono le famiglie storiche e nobiliari a determinare un ulteriore sviluppo della cucina siciliana. Tra queste spicca quella dei Florio, che fu a capo di una rinascita culturale e gastronomica siciliana, valorizzando al contempo il pesce siciliano, a partire dal tonno, lavorando e conservando gli alimenti. A loro si aggiunge la prolifica famiglia Alliata, Principi di Gangi, Gravia e Valguarnera e ancora Duchi di Salaparuta. A loro si devono la tradizione dell’uso della neve per la produzione del gelato e la conservazione dei cibi deperibili, la creazione di antiche cantine, l’avvio del veganismo crudista e della cucina vegetariana. Il duca Enrico di Salaparuta era promotore di una dieta basata solo sui frutti della terra e nel suo libro raccontava di un’alimentazione basata principalmente su alimenti come cereali, verdure e legumi da affiancare ad una bevanda considerata “pura e nobile”, quale era il vino. Nel frattempo le famiglie più povere ispiravano la loro cucina all’aristocrazia e se sui fuochi dei nobili la pasta con le sarde veniva servita con la cernia (pesce più raffinato) nelle cucine più umili l’antica ricetta non poteva permettersi nemmeno le sarde fresche, ma al massimo le poverissime acciughe salate, pasta che veniva definita non più “con le sarde”, ma con “le sarde a mare”, quindi rimaste proprio in acqua

 

martedì 2 dicembre 2025

COMUNE DI ANTILLO CITTÁ METROPOLITANA DI MESSINA COMUNICATO STAMPA “XX SAGRA DEL MAIALE E DEL CINGHIALE”





Il Comune di Antillo organizza la manifestazione “XX Sagra del Maiale e del Cinghiale” con l’intento di promuovere e valorizzare le produzioni agricole e agroalimentare di rilievo regionale e nazionale dell’entroterra messinese che ruotano attorno al vasto territorio che circonda il Comune. Questa iniziativa è finanziata dall’ Assessorato Regionale dell'Agricoltura dello Sviluppo Rurale e della Pesca Mediterranea - Dipartimento Regionale dell’Agricoltura. La produzione della manifestazione è curata dall’ Amministrazione Comunale di Antillo e dalla Proloco Antillo APS. L’evento sarà incentrato sulla promozione dei prodotti agro alimentari tipici e locali, soprattutto delle carni e dei prodotti caseari; ciò significa non solo farne conoscere le qualità, ma guidare il consumatore verso un acquisto e un consumo consapevole, promuovendone l'utilizzo in ambito culinario mediante un connubio con piatti e pietanze nostrane. Lungo il percorso espositivo sarà possibile degustare tantissimi piatti tipici del territorio; contestualmente sarà dato spazio ad attività di informazione, in quanto avrà luogo nella giornata di sabato 06 dicembre un convegno dal titolo “Il patrimonio geominerario del comprensorio orientale peloritano: risorsa strategica e geoturistica” – con ospiti del settore. Sarà anche realizzata una degustazione di piatti tipici della cucina antillese a cura della locale Associazione Proloco per descrivere le buone pratiche dell’uso dei prodotti agricoli di qualità nella cucina domestica, al fine di incentivarne il consumo, la diffusione e quindi la commercializzazione. I principali piatti realizzati saranno tutti a base di carni, salumi e formaggi che celebreranno tutto il gusto dei prodotti locali, i quali non saranno un semplice marchio ma un contenitore di territori, di storie e di persone. Lungo la via Roma, per allietare i visitatori, verrà dato spazio anche a spettacoli di musica popolare per due giornate ricche di eventi.

Ad Alia “Cultura da Gustare”: tre giorni tra sapori, cultura e territorio.

 


Cultura e agroalimentare si intrecciano per raccontare l’anima autentica dell’entroterra siciliano: nasce così “Cultura da Gustare”, la rassegna dedicata alla valorizzazione dei prodotti tipici e delle filiere locali, in programma dal 6 all’8 dicembre 2025 al Museo Civico di Alia, ospitato nello storico Palazzo Arrigo fu Sant’Elia.

L’iniziativa rientra nel quadro delle attività legate al riconoscimento della Sicilia come “Regione Europea della Gastronomia 2025”, un titolo che premia il valore delle produzioni locali e incoraggia eventi dedicati alla sostenibilità, alla tutela della biodiversità e alla valorizzazione delle identità territoriali.

“Cultura da Gustare” mette al centro le eccellenze agricole e agroalimentari delle basse Madonie e dell’area interna siciliana, luoghi in cui la tradizione contadina continua a esprimere qualità, autenticità e resilienza. Tra i protagonisti figurano il pomodoro siccagno, simbolo di una coltivazione rispettosa dell’ambiente; i vini dell’azienda Tasca d’Almerita – Tenuta Regaleali, ambasciatori nel mondo della cultura vitivinicola siciliana; e la scattata di Alia, dolce antico e identitario riconosciuto presidio Slow Food.

 










Il programma
6 dicembre – La rassegna apre con il convegno “Filiere e Territori”, dedicato alle sfide e alle opportunità dell’agroalimentare locale. Un momento di confronto tra agronomi, esperti di enogastronomia e rappresentanti istituzionali con l’obiettivo di rafforzare la rete tra imprese, istituzioni e comunità. Al centro del dibattito: innovazione sostenibile, filiere corte, identità rurale e opportunità di mercato.

7 dicembre – Spazio a musica e degustazioni con l’evento “Musica e Calici. Suoni e sapori al Museo”. Un concerto jazz e swing sul pianoforte storico del Museo da poco restaurato farà da cornice alla conclusione del progetto “Grotte e Vino”, promosso da Tasca d’Almerita: la vendita delle bottiglie affinate per un anno negli incavi del complesso rupestre “Grotte della Gurfa”. Il ricavato sarà destinato a sostenere l’illuminazione del sito rupestre, in un virtuoso patto tra cultura, patrimonio e imprenditoria agricola.

8 dicembre – Il Museo si trasformerà in un percorso sensoriale dedicato ai prodotti simbolo dell’identità territoriale. Aziende agricole e artigiani del gusto dialogheranno con i visitatori offrendo occasioni di degustazione e narrazione delle filiere locali, in un’ottica di educazione alimentare e consapevolezza del valore delle produzioni sostenibili.

“Cultura da Gustare” è un invito a riscoprire il senso di appartenenza, a promuovere le eccellenze agroalimentari come leve di sviluppo e a costruire una sinergia duratura tra cultura, turismo e ruralità. Un appuntamento destinato a crescere nel tempo, contribuendo alla diffusione dell’immagine di un’entroterra siciliano autentico, accogliente e ricco di storie da raccontare.

La rassegna è organizzata dal Comune di Alia in collaborazione con APS Minosse ETS.

L’iniziativa è finanziata dall’Assessorato Regionale dell’Agricoltura, dello Sviluppo Rurale e della Pesca Mediterranea – Dipartimento Regionale dell’Agricoltura.

Per dettagli sul programma e informazioni organizzative:

APS Minosse ETS – Tel: 327 034 4652

Per informazioni turistiche e sul territorio:

Ufficio Turistico del Comune di Alia – email: ufficioturisticoalia@libero.it  Tel: 091 821 0913 -  091 821 9528 - 327 807 5220

lunedì 1 dicembre 2025

Povertà e insicurezza alimentare in Italia

 


Dalla misurazione alle politiche



Authors

Davide Marino (ed)
Daniela Bernaschi (ed)
Francesca Benedetta Felici (ed)

Synopsis

Cosa significa oggi parlare di insicurezza alimentare in un Paese avanzato come l’Italia? Questo volume, con contributi provenienti da istituzioni accademiche, oltre che dalla FAO e dall’ISTAT, esplora le dimensioni economiche, sociali e territoriali di un fenomeno sempre più rilevante, con un focus sull’Italia e, in particolare, sulla Città Metropolitana di Roma Capitale. Anche nei Paesi ad economia avanzata come l’Italia, l’insicurezza alimentare – ovvero la difficoltà di garantire un accesso economico, fisico e sociale a una dieta sana ed equilibrata, in grado di rispondere alle esigenze nutrizionali, culturali e sociali – riguarda una fascia relativamente ampia della popolazione.
L’insicurezza alimentare, tuttavia, non rappresenta soltanto un problema economico, ma è un fenomeno più complesso, riconducibile al concetto di capacitazioni, ossia le libertà sostanziali di cui godono le persone di accedere a un’alimentazione adeguata, modellate dalle condizioni sociali e istituzionali nelle quali vivono. Di conseguenza, il food environment – l’insieme dei fattori che definiscono la disponibilità, l’accessibilità sica ed economica e le caratteristiche del cibo – ha un ruolo cruciale nel determinare le possibilità effettive di accesso al cibo. Un aspetto rilevante, approfondito all’interno del volume, riguarda le disuguaglianze territoriali e sociali che si manifestano nel nostro Paese in relazione all’accesso al cibo, con un’attenzione particolare al sistema di assistenza alimentare.
Il volume amplia inoltre lo sguardo sulla sicurezza alimentare, approfondendo i legami tra cibo, salute e capacità dei territori di sostenere la domanda interna, delineando un quadro utile alla definizione di politiche economiche e sociali di contrasto all’insicurezza alimentare. La proposta finale è di assumere il concetto di “diritto al cibo” come fondamento per la costruzione di sistemi alimentari più giusti e resilienti.

Author Biographies

Davide Marino

Professore di Economia e politica agroalimentare, Università degli Studi del Molise, è direttore scientifico dell’Osservatorio Insicurezza e Povertà Alimentare.

Daniela Bernaschi

Ricercatrice e cultrice della materia in Disuguaglianze sociali, povertà e sistemi alimentari sostenibili e inclusivi, Università degli Studi di Firenze, è ricercatrice dell’Osservatorio Insicurezza e Povertà Alimentare.

Francesca Benedetta Felici

Dottoranda in Geografia umana presso La Sapienza Università di Roma, è ricercatrice dell’Osservatorio Insicurezza e Povertà Alimentare.




OIPA 2025


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