la Cucina Italiana a Nuova Delhi
Nuova Delhi, 10 dicembre 2025 — Quel giorno, l’India farà da palcoscenico a una decisione che potrebbe ridefinire il profilo identitario e culturale dell’Italia: l’Unesco pronuncerà il suo verdetto sulla candidatura della Cucina Italiana come Patrimonio Immateriale dell’Umanità. Un riconoscimento che non celebra solo ingredienti o ricette, ma intrecci umani, territori, storie e identità.
Ogni volta che un piatto viene portato a tavola — la pasta tirata a mano, il ragù lento, il pane lievitato, i formaggi delle valli — non si degusta solo un alimento, ma si assapora un frammento di comunità, un gesto tramandato, una scelta agricola e culturale. Per 140 milioni di persone — secondo i promotori — la cucina italiana non è mero consumo, ma appartenenza. È dentro quella cifra che si gioca il destino simbolico della candidatura.
Dal dossier alle pentole: le tappe della candidatura
La candidatura non è nata per caso. Dall’annuncio ufficiale del 23 marzo 2023 fino al dossier finale, è stato un iter di consultazioni, ricerca storica, ascolto territoriale e raccolta di testimonianze. Non si è trattato di un’operazione top-down ma di una trama che ha intessuto enti pubblici (Ministeri, Regioni, Camere di Commercio) e attori locali (consorzi, università, comunità rurali).
In quel dossier non ci sono soltanto ricette: ci sono rituali familiari, occasioni condivise (feste, sagre, tavolate), pratiche agricole, gesti quotidiani, generazioni che imparano da nonne e nonni. L’idea è chiara: la cucina diventa patrimonio non perché è bella da vedere, ma perché è viva, praticata, evoluta, ma fedele a saperi e valori.
Una cifra da non ignorare: il valore economico del gusto
L’economia parla forte nell’argomentazione a sostegno della candidatura. Il comparto agroalimentare e gastronomico legato alla tradizione italiana veleggia in un mercato stimato in 251 miliardi di euro nel mondo — cifra che testimonia quanto i consumatori globali cerchino autenticità, identità, esperienza.
Ma non si tratta solo di esportazioni: turismo enogastronomico, chef che lavorano all’estero, botteghe artigiane che rinascono, scuole professionali che valorizzano il locale: tutti questi settori potrebbero tirare beneficio da una luce internazionale. Il riconoscimento Unesco non sarebbe un sigillo ornamentale, ma un volano per innovative strategie di filiera e branding territoriale.
Difendere l’autenticità: il nodo del “falso italiano”
Un punto sensibile del dossier è la battaglia contro i prodotti contraffatti e l’“italian sounding” — etichette che evocano l’Italia pur essendo prive di radicamento territoriale o rispetto per le pratiche storiche. Un riconoscimento Unesco darebbe all’Italia strumenti morali e simbolici aggiuntivi per distinguersi, certificare autenticità, rinforzare la rete di tutela del Made in Italy.
In pratica: se la cucina italiana diventa patrimonio mondiale, diventa più difficile far passare per “italiani” surrogati che nulla condividono del terroir, della tradizione e dell’identità.
Voci, note e tavole: Al Bano, Mogol e la mobilitazione culturale
La candidatura ha saputo attraversare i confini specialistici e guadagnare spazio pubblico. Le adesioni di Al Bano e Mogol ne sono un simbolo efficace: non chef, non studiosi, ma figure della cultura popolare che conferiscono visibilità e carica emotiva.
Attraverso interviste, concerti, apparizioni, questi testimonial hanno contribuito a far percepire al cittadino comune che la cucina non è argomento da “addetti ai lavori”, ma parte dell’identità nazionale. E lo hanno fatto parlando al cuore e non soltanto con argomenti tecnici.
Sfide e ombre: uniformità, museificazione, rappresentanza
Nessun progetto di tale portata è esente da critiche. Alcuni osservatori avvertono il rischio che, nel voler proteggere l’identità, si finisca per fossilizzarla — trasformando la cucina in un museo vivente, rigido e poco adatto all’evoluzione. Inoltre, come racchiudere in un solo dossier l’immensa varietà regionale italiana senza penalizzare alcune tradizioni?
C’è infine la competizione internazionale: altre candidature culinarie attente alla propria originalità ambiscono allo stesso riconoscimento. L’Italia dovrà dimostrare che la sua cucina non è un’etichetta collettiva, ma piuttosto un organismo plurale, radicato e aperto.
Una scommessa nazionale: il ruolo della politica e delle istituzioni
Dietro la candidatura c’è un lavoro politico, nei ministeri della Cultura, degli Esteri, nelle ambasciate culturali italiane nel mondo. È un’operazione di diplomazia culturale, soft power: con i piatti si racconta l’Italia.
Ma servono anche strumenti concreti: osservatori, centri di documentazione, finanziamenti per ricerca, sostegno alle filiere, politiche formative. Il riconoscimento Unesco implica anche un metodo di governance capace di monitorare, aggiornare, promuovere e adattare.
Il modello da imitare: esperienze internazionali
Non siamo i primi a puntare su un riconoscimento culinario. La Dieta Mediterranea, l’Arte del pizzaiolo napoletano e tradizioni culinarie di altri paesi diventate Patrimonio Unesco mostrano un percorso possibile, con lezioni che riguardano la capacità di conciliare tutela e innovazione, sinergie territoriali e sostenibilità interna.
I Borghi GeniusLoci De.Co.: custodi locali di un’identità in erba
Proprio mentre la candidatura volge verso il suo momento decisivo a Nuova Delhi, vale la pena volgere lo sguardo alle realtà più localizzate: le comunità che fanno della loro identità gastronomica un progetto partecipato. Qui entra in gioco la Rete Nazionale dei Borghi GeniusLoci De.Co..
Che cos’è la Rete e qual è la sua visione
La rete nasce come iniziativa rivolta ai comuni che hanno adottato o intendono adottare la Denominazione Comunale (De.Co.), con l’obiettivo di trasformare il genius loci — lo spirito profondo di un luogo — in leva culturale e turistica. (unirurale.blogspot.com)
La De.Co. non è semplicemente un marchio: è un atto politico che il sindaco assume per delineare la propria comunità attraverso prodotti, saperi, mestieri, feste, piatti tipici. (cookmagazine.it)
Il modello dei Borghi GeniusLoci De.Co. si basa su cinque “T” fondamentali:
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Territorio — geografia e ambiente; (terra.regione.sicilia.it)
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Tradizioni — pratiche culturali, ricette, eventi; (cookmagazine.it)
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Tipicità — caratteristiche distintive locali; (terra.regione.sicilia.it)
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Tracciabilità — trasparenza nella filiera; (terra.regione.sicilia.it)
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Trasparenza — processo condiviso e documentato con la comunità. (terra.regione.sicilia.it)
Secondo la rete, il cibo “si racconta e racconta quel luogo con la sua storia e tradizione” proprio quando diventa espressione identitaria di un borgo. (cookmagazine.it)
Un laboratorio territoriale nella moltitudine italiana
Queste comunità rappresentano “sentinelle identitarie” che ambiscono a trasformare il locale da marginale a protagonista. Il modello è particolarmente adatto per borghi rurali e territori interni che, al di fuori delle rotte turistiche canoniche, custodiscono un patrimonio gastronomico minore ma non meno importante. (unirurale.blogspot.com)
Un esempio concreto viene da Santa Lucia del Mela (Messina), che ha ricevuto — nell’ambito dell’iniziativa “Radici Future” — il riconoscimento di Custode dell’Identità Territoriale per aver preservato tradizioni, ricette e cultura gastronomica locale. (istitutoidimed.com)
Lì, la rete ha integrato momenti di show cooking, talk sulla dieta mediterranea, interventi istituzionali e riconoscimenti pubblici, in un format che valorizza l’impegno locale come motore culturale ed economico. (istitutoidimed.com)
Perché una Rete nazionale accelera la candidatura UNESCO
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Radicamento territoriale realeLe comunità De.Co. sono laboratori effettivi di pratiche culinarie identitarie: se la candidatura Unesco pretende di rappresentare l’Italia intera, queste micro-realtà danno sostanza al dossier.
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Democratizzazione della tutelaNon basta che la candidatura parta da élite: la rete coinvolge comuni piccoli, divulgando la consapevolezza che la tutela riguarda ogni tavola, ogni borgo.
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Innovazione glocalLe pratiche locali non sono statiche: queste comunità possono sperimentare forme sostenibili di turismo gastronomico, percorsi educativi nelle scuole, reti con chef e comunità estere.
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Sinergia culturale e mediaticaLa rete offre visibilità locale, eventi tipici e storie autentiche che possono connettersi al racconto nazionale della candidatura: il piccolo si fa ponte verso il grande.
Epílogo: decisione di Delhi, semina nei borghi
Il 10 dicembre non sarà il traguardo: sarà un atto fondativo. Se l’Unesco dovesse accogliere la candidatura, l’Italia avrà un impegno forte: non cristallizzare le tradizioni, ma mantenerle vive e inclusive. Se la candidatura non dovesse passare, l’opportunità sarà comunque quella di rafforzare la consapevolezza identitaria e politica del cibo italiano.
La Rete Nazionale Borghi GeniusLoci De.Co. rappresenta una scommessa tangibile sul territorio: una rete di comunità che non attendono soltanto un sigillo internazionale, ma lavorano ogni giorno per trasformare il locale in patrimonio condiviso.
Che si tratti del Governo centrale o di un borgo di collina, il messaggio dovrà essere lo stesso: il valore della cucina italiana non sta solo nei grandi chef o nei piatti celebrati, ma nei piccoli gesti, nei territori dimenticati, nelle mani che impastano, nelle storie che si raccontano. Quella è la forza cui Nuova Delhi sarà chiamata a rendere giustizia.
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