Giuseppe Barbera, già docente universitario di colture arboree all’Università
di Palermo, è uno dei massimi esperti di paesaggi agrari e agroforestali del
Mediterraneo ed è membro del Consiglio Scientifico dell’Osservatorio Nazionale
del Paesaggio Rurale e del Direttivo del Parco Nazionale dell’Isola di
Pantelleria. Il professore sottolinea l’urgenza di ripensare lo sviluppo
economico della Sicilia, puntando su agricoltura avanzata, hi-tech ed energie
rinnovabili, sempre in un’ottica ecosostenibile
«Il presente e il
futuro del nostro straordinario Pianeta Terra è affidato a noi, data la nostra
intelligenza di Homo Sapiensdobbiamo assumerci la responsabilità
di fare scelte strategiche ecosostenibili e azioni concrete per salvaguardare,
curare e valorizzare l’ambiente». Così il professore Giuseppe Barbera,
docente universitario, saggista e scrittore, inizia il dialogo con Pianeta
2030 del Corriere della Sera. Barbera è tra i massimi
studiosi italiani ed europei delle ‘Colture arboree’, di paesaggi agrari e
agroforestali del Mediterraneo. Ha pubblicato libri per prestigiose case
editrici quali Mondadori, Sellerio, Il Saggiatore. Per il Fai ha curato il
recupero della Kolymbethra nella Valle dei Templi di Agrigento. È Membro del
Consiglio Scientifico dell’ Osservatorio nazionale del paesaggio rurale
(Mipaaf) e del Direttivo del Parco Nazionale Isola di Pantelleria. Nella
conversazione interviene sui grandi temi ambientali, storici e culturali, sulle
meraviglie dei paesaggi rurali, dei giardini pubblici, sui mutamenti climatici,
la cura del Pianeta, e altri argomenti rilevanti partendo dalla realtà concreta
del Mediterraneo. «La nostra intelligenza di Homo Sapiens Sapiens,
con i grandi risultati raggiunti sul piano culturale, ci dà una grande
responsabilità. Sulla base di questo fatto storico-sociale, frutto di raffinato
adattamento all’ambiente in maniera diacronica, dobbiamo anche farci carico di
tutti i disastri che abbiamo combinato. La storia umana, con le diverse mete
raggiunte sul piano culturale, scientifico e tecnologico, con innegabili e
positive innovazioni, è stata ed è accompagnata anche da molte azioni sbagliate
che hanno fortemente alterato il pianeta, al punto che Paul Crutezn (vincitore
del premio Nobel per la Chimica nel 1995) ha definito l’epoca geologica
planetaria in cui viviamo ‘Antropocene’, l’epoca dell’uomo. Siamo noi i
responsabili di quello che succede e quello che succede è evidente, non c’è
negazionismo che tenga, si può essere più o meno drastici nelle proprie
osservazioni e conclusioni, si può essere prudenti o meno, però è evidente che
gli equilibri planetari sui quali fa riferimento il pianeta negli ultimi
millenni siano stati rotti. Siccome siamo Sapiens, siamo anche gli unici che
possiamo fermare questo disastro e magari innescare strade diverse, per uno
sviluppo diverso. Dobbiamo abbandonare la parola ‘crescita’ in senso classico,
cumulativo, perché non dobbiamo crescere quantitativamente, dobbiamo
svilupparci qualitativamente e con sostenibilità. È la grande sfida che abbiamo
di fronte».
Come definirebbe il
grande patrimonio culturale paesaggistico, arboreo, culturale siciliano e
quanto è importante nella vita quotidiana dell’Isola?
«È molto rilevante.
Siamo al centro della storia più antica: il Mediterraneo, il mare tra le terre.
Abbiamo tre continenti che si sporgono su questo mare e al centro c’è la
Sicilia che ha una lunga storia anche sul piano genetico. E vi è ricchezza sia
sul piano dell’Etnodiversità che della Biodiversità. La Sicilia è al centro
della storia naturale e culturale. Dall’incontro di molteplici popoli e civiltà
sono nate tante opere di alto valore sul piano architettonico, paesaggistico,
artistico, letterario e filosofico. E opere che mostrano, ad esempio
nell’antichità classica, il rapporto armonico tra esseri umani e natura. Nella
fase contemporanea non sempre i siciliani e le loro classi dirigenti sono stati
all’altezza di questa grande responsabilità. Anche se va detto, vi sono state e
vi sono delle iniziative di salvaguardia e valorizzazione del patrimonio
storico-ambientale molto positive».
L’approccio
multidisciplinare allo studio dell’ambiente. Storia, paesaggio, Antropologia,
Scienze della Natura e Scienze umane, quanto è importante questo metodo per
comprendere il mondo in cui viviamo?
«Noi siamo arrivati
nell’Antropocene alla rottura tra natura e cultura in virtù di una sapienza
fondata su ‘specialisti ignoranti’, su figure di grande qualità culturale e
scientifica, però delimitate, concentrate soltanto sul loro sapere, poco
propensi a confrontarsi con altri saperi di altri popoli, di altre culture, di
altre scienze. Noi non dobbiamo semplificare, non miriamo a questo, dobbiamo
prendere atto che siamo in un sistema complesso, dove la complessità è il tema
che dobbiamo affrontare, il paesaggio è il terreno attraverso il quale la
complessità si mostra e attraverso il quale il tema della complessità può
essere affrontato. Occorre una visione di ampio respiro e una metodologia
multidisciplinare e interdisciplinare».
La dimensione del
paesaggio rurale, può spiegare la sua valenza strategica in Italia e nel
Mediterraneo?
«Se noi smettessimo di
avere l’idea che l’agricoltura è un settore che mira soltanto alla produzione,
che i risultati dell’agricoltura non si misurano in quintali, in litri o in
euro ma si misurano in equilibri ambientali, in valori culturali, allora
daremmo a questi temi un ruolo ben maggiore di quello attuale. Viaggiando per
la Sicilia ci si accorge sia dei danni provocati dagli incendi delle scorse
estati sia dei danni provocati dall’abbandono di molte campagne. Questo provoca
perdite di biodiversità, danni alla natura e all’agricoltura e al turismo di
qualità. Occorre un ampio ed organico progetto per curare, salvaguardare e
valorizzare il nostro patrimonio. Serve una nuova visione di economia sostenibile
fondata su uno sviluppo sano, armonico, rispettoso dell’ambiente. Sia chiaro,
coloro che pensano che una regione con 5 milioni di abitanti possa vivere solo
di turismo sbagliano, hanno una visione semplicistica e riduttiva. La Sicilia
deve potenziare lo sviluppo di eccellenze hi-tech, dell’agricoltura avanzata,
delle energie rinnovabili, dei processi produttivi agro-alimentari e di vari
altri settori -tutti da attuare in maniera ecosostenibile-. Serve una crescita
basata sulle 5 E: l’ecologia, cioè l’equilibrio tra gli umani e i non umani,
con sensibile attenzione alla Natura; l’economia della quale non possiamo
prescindere, in chiave innovativa e sostenibile; l’estetica, il grande valore
della bellezza; l’energia, che apre un tema molto presente ma male affrontato;
l’etica, ossia i rapporti tra esseri umani, tra persone di terre diverse, tra
esseri umani e gli altri viventi, piante e animali che siano. Il Sapiens deve
tenere insieme queste 5 parole. Lo ribadisco, serve il pensiero della
complessità».
Lei ha curato il
recupero del giardino della Kolymbetra nella Valle dei Templi di Agrigento. Può
spiegarne in maniera sintetica la molteplice valenza?
«L’ispirazione è
giunta dalla lettura del testo di uno dei tanti grandi viaggiatori del Gran
Tour, il francese de Saint-Non che diceva che passeggiare nella Kolymbetra,
alla fine del Settecento quando lui la visitò, era come passeggiare nel
giardino dell’Eden. Allora ci siamo detti con il Fai e gli altri attori
protagonisti, perché non ricreare questo straordinario piacere di passeggiare
in Paradiso? La Kolymbetra ha un clima stupendo rispetto al resto della Valle
di Templi. È fresca, è giustamente ventilata, ha fiori e frutti come è
difficile trovarne altrove, ha gli agrumi -il giardino di agrumi che è quello per
eccellenza-, ha l’acqua che fluisce in continuazione, ha templi meravigliosi, e
panorami suggestivi. Tra i vari altri luoghi che in Sicilia racchiudono natura,
storia e cultura in maniera ampia e variegata voglio citare anche la Favorita
di Palermo, il Parco Archeologico di Selinunte, ed ancora Segesta, Morgantina,
Taormina e Siracusa. Nel caso di Selinunte il rapporto tra la monumentalità
architettonica dei templi, lo splendore della natura (tra terra e mare), le
meraviglie ambientali, è straordinario. E lo si comprende solo vivendolo
immersi in quei luoghi. È uno dei simboli dell’unicità della Sicilia nel
rapporto tra natura e cultura».
Quanto è importante
salvare i giardini pubblici -che spesso rappresentano nuclei identitari delle
città, piccole medie e grandi ?
«I giardini storici
hanno bisogno di essere considerati come monumenti di storia e natura insieme.
Non sono solo verde, non si misurano nella quantità di alberi, nella quantità
di ossigeno che producono. Sono storia e natura, sono cultura. La Sicilia parte
dai paesaggi-giardini della preistoria e arriva ai paesaggi del contemporaneo
attraversando tutta la storia. Mi lasci citare le suggestive vedute dei
giardini di Palermo, il Parco della Favorita in primis, e anche il giardino
pubblico di Caltagirone (in provincia di Catania), come esempi di
consapevolezza da parte delle istituzioni e dell’opinione pubblica del grande
patrimonio storico-culturale e ambientale identitario».

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