un sottile filo conduttore
Dei testimonial americani, ne abbiamo già parlato qui i testimonial del made in italy
È il paradosso made in Italy: l’Italia, uno dei maggiori produttori mondiali di uva da tavola, importa frutta dall’altra parte del pianeta. Per poi rivenderla, ovviamente, come se fosse normale. Sui social è scoppiata — giustamente — l’indignazione. "Ma come è possibile?", si domandano in tanti. La risposta, purtroppo, è una miscela tossica di miopia politica, logiche di profitto spietato e disinteresse per il nostro patrimonio agricolo.
L'Italia è il secondo produttore europeo di
uva da tavola (dopo la Spagna) e tra i primi cinque al mondo. Nel 2023, il nostro paese
ha prodotto oltre un milione di tonnellate di uva da tavola,
concentrata principalmente in Puglia e Sicilia, regioni dove intere economie locali ruotano
attorno alla viticoltura. Ma nonostante questo primato, i supermercati italiani
riempiono i propri scaffali con uva che ha attraversato più di 6.000 chilometri,
inquinando mari e cieli, per finire sui nostri piatti. Un insulto non solo al
buonsenso, ma anche agli agricoltori italiani, che per poter competere
devono vendere a prezzi sempre più ridotti, schiacciati da una filiera che
premia la logica del meno costa, meglio è, lo scorso anno c’è stato un più 18% di importazione.
Comprare uva
indiana in Italia è come importare neve in Alaska o sabbia nel Sahara. È il
trionfo del non-sense
economico e ambientale. Perché, sia chiaro, non si tratta
solo di una questione patriottica: è una questione di sostenibilità ambientale,
tutela dell’agricoltura locale e rispetto per i lavoratori. Ogni grappolo d’uva
indiano rappresenta un colpo basso agli agricoltori italiani che,
tra caro gasolio, siccità e burocrazia, faticano a sopravvivere. Eppure, per
qualche centesimo in meno a chilo, le grandi catene preferiscono bypassare
l’Italia e andare a fare shopping in Asia. Il risultato? Nei mercati rionali l’uva
locale rischia di marcire, mentre nei reparti ortofrutta dei supermercati si
spaccia globalizzazione per progresso.
Ed è sufficiente attraversare le aree dove una volta l’intera economia era rappresentata dalla coltvazione dell’uva da mensa, per rendersi conto che qualcosa non và, sempre più vigneti abbandonati, sempre più vigneti con operazioni colturali fatti in ritardo e al minimo.
Non bisogna avere la sfera di cristallo per comprendere come sta il comparto, in Italia e perché quello indiano, …vola!!!
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