sabato 14 giugno 2025

Identità del vitigno.


Giuliana Cattarossi, Giovanni Colugnati

Colugnati&Cattarossi, 

Partner Progetto PER.RI.CON.E.

 

                       Può sembrare curioso che ci si possa imbattere talvolta in errori, confusioni o ambiguità che riguardano proprio l’identità dei vitigni, il loro essere o non essere questa o quella entità. In realtà i problemi che possono verificarsi sono piuttosto frequenti e non riguardano solo i vitigni meno noti. Si tratta di questioni che vanno studiate e chiarite al loro insorgere: è quasi sempre controproducente ignorarle, magari per via di vincoli legislativi (DOC o le IGT), perché prima o poi possono emergere nuocendo alla trasparenza e dunque all’immagine di un territorio. Quando, ad esempio, negli anni Settanta lo ‘Chardonnay’ conobbe nel nostro Paese la sua ampia diffusione, non ben conosciuto per i suoi caratteri, e anzi fu spesso confuso con il ‘Pinot bianco’ che, assomigliandogli, veniva spesso commerciato al suo posto, fino a che le caratteristiche distintive dei due vitigni furono accuratamente descritte (Scienza et al., 1979).

Più recentemente ci si è accorti che una buona parte del ‘Cabernet franc’ italiano corrisponde in realtà al bordolese ‘Carmenère’ (Calò et al., 1991). L’identità tra ‘Vermentino’, ‘Pigato’ e ‘Favorita’, anche se iscritti separatamente nel Registro delle Varietà, è stata dimostrata con metodi ampelografici (Schneider, Mannini, 1990) e in seguito confermata con analisi genetiche (Botta et al., 1995). Il ‘Pignoletto’ corrisponde in realtà al ‘Grechetto di Todi’ (Filippetti et al., 1999), l’‘Aglianicone’ al ‘Ciliegiolo’ (Crespan et al., 2002), il ‘Prosecco’ ha un suo sinonimo nell’istriano ‘Teran Bijeli’ (Maletic et al., 1999).

Gli esempi al proposito sono numerosissimi ed ogni contributo alla conoscenza di identità, sinonimi e caratteri, purché fondato su solide basi scientifiche, è il benvenuto per comprendere e valorizzare ogni vitigno autoctono.

La conferma che lo spagnolo Albariño fosse identico al portoghese ‘Alvarinho’, ad esempio, ha permesso l’utilizzo di materiale di propagazione portoghese in Spagna, dove gran parte delle piante erano infette da virosi. A tal proposito sarebbe assolutamente auspicabile che una banca dati genetica riportante il profilo delle oltre 500 cultivar ad uva da vino, da tavola e portinnesti ufficialmente registrate in Italia, fosse resa accessibile on line.

Vi sono infatti i marcatori idonei allo scopo, che sono i microsatelliti o Simple Sequence Repeats (SSR) (Sefc et al., 2001), di cui 6 loci sono stati adottati dalla comunità scientifica internazionale (This et al., 2004). Inoltre, molti laboratori nel nostro Paese hanno ormai già analizzato una gran parte dei vitigni autoctoni, sia principali che minori, e sarebbe pertanto sufficiente riunire, verificare ed armonizzare questi dati per realizzare una gran parte della banca dati in questione.

Quanto alle analisi molecolari, si vuole ancora ribadire che esse in ogni caso vanno affiancate ad esperti controlli ampelografici di campo, sia per esser certi di aver prelevato i campioni voluti, sia per una corretta interpretazione dei risultati, data la complessità e la confusione nella denominazione delle cultivar (omonimi e sinonimi), che ancora riguarda una buona parte del germoplasma italiano.

Un’altra applicazione della determinazione dell’identità del vitigno in enologia varietale è la tracciabilità genetica, ovvero la ricerca dell’origine genetica delle uve nei mosti e nei vini: in altre parole, la possibilità di determinare il vitigno (o i vitigni) che rientrano nella composizione di un certo vino. È evidente che per questo argomento vi è un enorme interesse, sia per i protocolli relativi ai controlli di qualità, sia per meno piacevoli (ma doverose) finalità repressive.

Sulla matrice vino la tracciabilità genetica è più problematica, non tanto per via dell’interferenza del DNA di lieviti e batteri, quanto per la difficoltà di recuperare quantità sufficienti di materiale genetico della pianta, che, soprattutto nei vini commerciali e meno giovani, è molto esigua per via degli interventi tecnologici che allontanano i residui di tessuti provenienti dalle uve.

 

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