sabato 10 novembre 2018

WW l'agricoltura contadina


Fino a non molti decenni fa esistevano in Italia intere aree rurali. Non è che non esistano più, è solo che queste aree hanno preso due derive: in alcune, quelle più fertili e meglio collegate con la rete stradale, è piombata l’agricoltura industrializzata, (in crisi perenne) che si è buttata a capofitto su terreni da coltivare con macchine e pesticidi; negli altri casi la popolazione ha scelto di elevare il proprio livello di vita e di abbandonare una vita e un’economia di sussistenza, di aree arretrate del sud, e di emigrare nelle città.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti è che in Italia ci sono da un lato sistemi urbani che stanno esplodendo, città infinite (si pensi alla cosiddetta Megalopoli Padana, che va da Milano a Venezia senza soluzione di continuità), contigue a terreni dove l’agricoltura a livello industriale la fa da padrona, e dall’altro lato esistono interi pezzi di Paese che nei casi migliori vivono o grazie alla diffusione di agriturismi e bed and breakfast, oppure vivono un costante decremento demografico e vengono tenuti in piedi da pochi anziani.

Aspetti negativi su un piatto della bilancia che venivano equilibrati, dall’altro, da valori contadini, tradizioni enogastronomiche e artigianali tramandate di generazione in generazione, ma soprattutto la realizzazione di un tipo di società fondata sulla solidarietà reciproca, valori che oggi si sono quasi consumati dopo decenni di industrializzazione e di sradicamento degli individui dalla terra.

Ma quella vita di sussistenza, che ha dato da mangiare a tutti nei secoli, era in realtà una magnifica espressione della società contadina che, tuttavia, comportava tanti rischi, come la mortalità infantile, l’alto livello di diffusione di malattie, la malnutrizione. Tutti aspetti inevitabili se quella vita era il massimo a cui la gran parte della popolazione poteva realisticamente aspirare.
La convinzione dominante che l’approvvigionamento alimentare potesse essere affidato al mercato globale ha, tuttavia, subìto un forte ridimensionamento negli ultimi anni di crisi, che, se non altro, ha avuto il “merito” di portare molti a rivalutare quei valori e quelle tradizioni troppo velocemente abbandonati.
Così si arriva al punto del discorso l'avvio di una campagna popolare finalizzata all’approvazione di “una legge che riconosca l’agricoltura contadina e liberi il lavoro dei contadini dalla burocratizzazione, poiché esiste un numero imprecisato di persone che praticano un’agricoltura di piccola scala, dimensionata sul lavoro contadino e sull’economia familiare, orientata all’autoconsumo e alla vendita diretta;
Un’agricoltura di basso o nessun impatto ambientale, fondata su una scelta di vita legata a valori di benessere o ecologia o giustizia o solidarietà più che a fini di arricchimento e profitto; un’agricoltura quasi invisibile per i grandi numeri dell’economia, ma irrinunciabile per mantenere fertile e curata la terra (soprattutto in montagna e nelle zone economicamente marginali), per mantenere ricca la diversità di paesaggi, piante e animali, per mantenere vivi i saperi, le tecniche e i prodotti locali, per mantenere popolate le campagne e la montagna. Per quest’agricoltura che rischia di scomparire sotto il peso delle documentazioni imposte per lavorare e di regole tributarie, sanitarie e igieniche gravose, per ottenere un riconoscimento che la distingua dall’agricoltura imprenditoriale e industriale, per ottenere la rimozione degli ostacoli burocratici e dei pesi fiscali che ostacolano il lavoro dei contadini e la loro permanenza sulla terra.”

Oggi c’è un aspetto molto importante in tutto questo discorso, aspetto costituito dalla possibilità di coniugare insieme il tipo di vita rurale con i controlli igienico-sanitari garantiti dai presidi medici diffusi(chissà ancora per quanto) sul territorio, che un tempo non esistevano o erano meno in grado di controllare spiacevoli o tragici fenomeni. Oggi ci ritroviamo nella condizione di poter tornare indietro progredendo, nella condizione, cioè, di recuperare un modo di vita coniugandolo con il controllo su prodotti e persone propri del nostro tempo. Difficile però che ciò possa avvenire, dato che nel tempo queste forme di agricoltura ed allevamento a gestione familiare sono state progressivamente indebolite dalla costruzione di un apparato legislativo e burocratico volto senza dubbio a favorire la produzione alimentare con mezzi industriali, più facilmente controllabili.

giovedì 4 ottobre 2018

Ex baronia del Belìce “ territorii nullius"

nucciatornatore

Durante il Talk Show - 2018, Anno del Cibo Italiano
terr@, che si è svolto in occasione di Inycon 2018, il Sindaco Arch. Marilena Mauceri, ha risposto alla sollecitazione contenute nella lettera  del Dr Nino Sutera,   annunciando  la disponibilità all'avvio del percorso, coinvolgendo le forze economiche, sociali  e culturali della città. 
 E' un progetto ambizioso, che ci vedrà protagonisti, essendo un'area  che ha   elementi   relazionali,  sociali,  economiche, e politiche, comuni al territorio di Menfi, ha dichiarato il Vice Sindaco Avv. Viviani.    







    ecco il testo della lettera



 Al Sig Sindaco del Comune di Menfi

Arch. Marilena Mauceri  
Sede

e.p.c Al Presidente del Consiglio Comunale

Avv. A. Pellegrino
Sede 



                 Oggetto: Ex baronia del Belìce “ territorii nullius”. Proposta di rideterminazione dei confini comunali.
          
                               In occasione dell’evento annuale dedicato al territorio e alle sue produzioni d’eccellenza, "Inycon 2018 Menfi e la sua terra", con la presente colgo l’occasione di rappresentarLe una proposta, che chiaramente deve coinvolgere l’organo politico di rifermento dal Lei rappresentato.
                               Come è noto i territori di regola sono delimitati da confini, alcuni casi naturali, il mare  o il fiume, in altri casi da confini determinati dall’uomo.
Il territorio di Menfi  a confine con il territorio del comune di Castelvetrano, Contrada Belìce di Mare, è delimitato da un "anomalia". 

                      Già fin dal 1829 la questione  è stata oggetto di discussione e di richieste ben argomentate. Il confine infatti non è dato dalla presenza del fiume Belice, (demarcazione naturale) ma di un confine  determinato dall’uomo  e per certi versi illogico. Infatti,   “L’intera ex baronia del Belìce è situata al di qua del fiume Belìce  ed è distante tre miglia di strada da Menfi, e dieci miglia da Castelvetrano," il 90% dei proprietari risiede a Menfi, la coltura prevalente e il vigneto, ect,ect,
                        In pratica,  un lembo di territorio che ricadeva nella ex baronia del Belìce “ territorii nullius” se pur da questa parte del fiume Belice ( a confine con il territorio del comune di Menfi) è stato impropriamente allocato  al territorio del comune di Castelvetrano.

                       La proposta, se pur semplice, consta  di costituire un gruppo tecnico di lavoro, che consenta la giusta allocazione del confine del territorio di Menfi, con l’annessione della terra dell’ ex baronia del Belìce “territorii nullius”oggi contrada Belìce di Mare.


                 Già nel recente passato, altre amministrazioni in Italia  hanno posto rimedio a confini innaturali, costruiti dall'uomo.
                     Sono certo che l’Amministrazione da Lei guidata, saprà porre in essere le iniziative del caso.
Certi di un positivo riscontro.
                      

                                                         Dott.NinoSutera
                                                                                            Funzionario Responsabile 
                                     Azienda Sperimentale Campo Carboj  

giovedì 23 agosto 2018

Officinali in Sicilia

Il 28 e 29 settembre 2018 si terrà la seconda edizione di "Officinali in Sicilia" al complesso monumentale di San Pietro, in via L. Anselmi Correale n 12 a Marsala (Tp). Le piante officinali sono un comparto strategico per lo sviluppo del territorio siciliano.

Rosmarino, origano, timo e calendula saranno al centro dell'evento tecnico-divulgativo ideato da Marcello Militello, agronomo esperto di piante officinali.


La giornata del 28 settembre sarà dedicata al corso di avviamento alla produzione di origano in Sicilia promosso dalla Federazione italiana produttori piante officinali, Fippo, già partner dell’evento 2017.

Il 29 settembre sarà invece organizzata una giornata divulgativa durante la quale si parlerà del quadro normativo previsto per le piante officinali, l'inquadramento e la meccanizzazione dell'azienda produttrice di piante officinali, inoltre saranno trattati i sistemi di supporto decisionale in agricoltura e la trasformazione delle specie officinali.







Per informazioniofficinaliinsicilia@gmail.com - 

venerdì 3 agosto 2018

Riaffiorano le radici

Riaffiorano le radici
di Peppino Bivona

                                A quel tempo la spiaggia di Porto Palo finiva alla foce Mirabile, quasi a simboleggiare le nostre colonne d’Ercole: oltre c’era l’ambio arenile, smisurato, aperto, sconfinato, sovrastato dall’immensa collina di sabbia: il “serrone Cipollazzo”,ricoperto qua e là da vegetazione di piante in via d’abbandono; poi il  mare, limpidissimo, basso ,esteso, calmo , comodo per raccogliere patelle. Chi osava avventurarsi oltre la foce rischiava di perdersi nel vasto “oceano”, dove la ragione latitava e spesso soccombeva alle passioni giovanili. 

Oggi gli spazi oltre la foce Mirabile sono densamente antropizzati, resi angusti dalla strettezza  di un malcelato  budello di terra , costipato  da un ammasso di case scriteriate  e goffe,  insomma, penose.  Ora tutto si è ridotto, divenuto a portata di mano: l’accesso comodo ma non facile. I cambiamenti in questo mezzo secolo non potevano risparmiare questo tratto di mare e la collina sovrastante, che per alcuni anni divenne oggetto di un acceso dibattito, culminato in vicende giudiziarie dai risvolti umani dolorosi. Ma alla fine, pur assediato ad est come ad ovest, dalla speculazione, viene riconosciuto e decretato come area d’interesse paesaggistico –ambientale. Eppure come se non bastasse, Il serrone Cipollazzo, subisce oggi più che mai, inesorabilmente gli attacchi violenti delle mareggiate, particolarmente dove non sono state allestite  protezioni, ovvero i pennelli. Questa immensa, stupenda duna di sabbia, forse unica nel bacino del mediterraneo, sembra un gigante dai piedi d’argilla!
Si, ogni anno di più sembra sgretolarsi, la furia del mare non ha pietà, l’assedia frontalmente e inesorabilmente avanzando ne mina le fondamenta! Ogni anni sembra restituirci strani reperti.
Quest’anno, per uno bizzarro sortilegio, i marosi ci hanno consegnato nuovi reperti, ovvero lunghe radici di vite immerse per diversi metri nella sabbia fino a raggiungere i profondi strati argillosi, forse di illite o di caolino. Uno spettacolo mozzafiato: pensate queste uniche e rare viti  europea,  franchi di piede ,ovvero non innestate, da quasi centocinquant’anni sono sopravvissute al caldo torrido della sabbia infuocata,  a pochi metri dal mare
.Ad una prima analisi dei seni peziolari  sembrano Catarrati, Inzolia e una vecchia verità di uva da tavola, forse Centorruote. Ora vi chiederete stupiti: ma cosa ci faceva questa coltivazione della vite in un contesto orografico cosi avverso o quantomeno singolare?
Per un momento accantoniamo l’emozione e lasciamo parlare la storia.




 Ebbene, dovete sapere che per millenni in Sicilia, come in tutto il bacino del Mediterraneo, la vite veniva coltivata con estrema semplicità, non avevamo alcun bisogno di praticare l’innesto né tanto meno difenderci da due pericolose malattie ovvero l’oidio e la peronospora. La vite produceva in abbondanza e viveva cento e passa anni. I nostri guai inizino con la “scoperta “dell’America, e in modo decisivo quando i mezzi di comunicazione divengono sempre più rapidi e veloci come accade con le navi a vapore. La seconda metà dell’ottocento segna l’avvio tragico del disastro della viticoltura europea : arriva dall’America la fillosser, uno strano afide che attacca e distrugge  le radici delle viti europee, franche di piede. Dalla Francia il flagello si espande in tutta Europa compresa la Sicilia , ……fino a Menfi. Qui, la vite  nell’economia agricola, aveva un posto di tutto rispetto, ne sono testimonianza i diversi “palmenti “ diffusi in contrada Bonera. Che fare?  Per anni i contadini videro  scemare sotto i loro occhi interi campi di vite coltivate. Finché  un giorno, qualche acuto osservatore, notò un fatto interessante, ovvero che le viti coltivate in terreni sciolti o molto sciolti, la forma radicicola della fillossera non manifestava la sua virulenza. Fu così che i contadini e i proprietari   decidono di spostarne la coltivazione della vite nei terreni sabbiosi.
Oltre alla collina del Cipollazzo, la vite si estese nelle aree delle dune di contrada Torrenuova ,attivando, per alcuni anni, un fiorente commercio. Le viti affondavano le radici per diversi metri, fino agli strati argillosi,  mentre la vegetazione veniva protetta da cannucce perfettamente ordinate. L’uva raccolta veniva trasportata in cesti di canne spaccate, a basto con i muli. Tutto durò alcuni decenni fino a quando non fu introdotta la tecnica dell’innesto, utilizzando le viti americane le cui radici resistevano all’attacco della fillossera. Adesso il mare trascina via, assieme alle radici, i nostri ricordi giovanili.      

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