sabato 12 aprile 2025

Il germoplasma autoctono italiano.

 

Giuliana Cattarossi, Giovanni Colugnati

Colugnati&Cattarossi, Partner Progetto PER.RI.CON.E.

 

 

          Per cercare di capire quanto complesso il patrimonio vitivinicolo nativo o minore, possiamo dare uno sguardo ai Registri che elencano le varietà di vite coltivate in alcuni importanti Paesi viticoli mediterranei, come Italia, Francia, Grecia e Spagna. Tali registri indicano che i vitigni da vino ufficialmente registrati nel nostro Paese, considerando solo quelli autoctoni (dunque escludendo quelli provenienti da altre nazioni o ottenuti per incrocio), sono circa il doppio di quelli catalogati in Francia ed in Grecia e quasi il triplo di quelli riportati per la Spagna.


Se si considerano invece i vitigni autoctoni nel loro insieme, ovvero presenti sul territorio o in collezione, ma non necessariamente riconosciuti ufficialmente, questi sono circa 400 in Francia (Lacombe, 2002) e intorno ai 2000 o forse più nel nostro Paese (Schneider, o.c.), basata sul cospicuo numero di vitigni minori, rari e in via di abbandono (oltre 300) recuperati negli ultimi 15 anni nella sola Italia Nord-Occidentale.

Ci si potrebbe chiedere perché proprio l’Italia, tra i numerosi altri Paesi viticoli europei, è forse il più ricco di “ampelo-diversità”. Le ragioni sono numerose, ma tra le principali va ricordata la posizione geografica della nostra penisola che, protesa al centro del Mediterraneo, è sicuramente servita da ponte, da zona di passaggio tra Nord e Sud, tra Est ed Ovest, per le diverse specie alimentari mediterranee e per le loro varietà, portate dai numerosi popoli che hanno occupato o percorso il nostro Paese.

Anche la frammentazione ecologica dell’Italia, un territorio orograficamente complesso, formato da ambienti spesso molto diversi, ha svolto un ruolo importante (Colugnati et al., 2015) nella differenziazione di forme adattate a situazioni differenti; e lo stesso si può dire per la frammentazione socio-economica e politica italiana, durata ben più a lungo che negli altri Paesi viticoli. Va ricordato ancora uno sviluppo tecnico ed economico più lento ed una ritardata affermazione dell’economia di mercato (soprattutto in certe regioni), unitamente all’avvento più tardivo dei parassiti della vite di origine neartica, che hanno invece colpito i Paesi d’Oltralpe, e soprattutto la Francia, in modo repentino e violento, determinando un’improvvisa e rapida evoluzione dell’assortimento varietale.

Quanto alla ripartizione delle superfici delle poco più di 300 varietà di vite autoctone iscritte nel Registro italiano, un centinaio di esse sono coltivate su più di 1.000 ha ciascuna, mentre ben 185 non raggiungono singolarmente i 1.000 ha di superficie e per molte di esse si sono registrate aree colturali di pochi ettari soltanto (ISTAT, Censimento Agricoltura 2000).

Si può allora affermare che l’Italia è una vera e propria “miniera a cielo aperto” di vitigni autoctoni, ma la maggior parte di essi, di modestissima importanza colturale, sono in generale assai poco conosciuti.

Uno sforzo deve dunque essere rivolto alla conoscenza dei vitigni autoctoni italiani, fra cui i minori, i locali, sono certamente quelli su cui le informazioni sono più limitate e frammentarie, anche se molte sono le iniziative in atto (il Progetto PER.RI.CON.E: ne è testimonianza).

In un progetto rivolto all’enologia varietale, però, si deve adottare un approccio del tutto originale ed innovativo: si parte dal fatto che ogni territorio ha i suoi vitigni autoctoni (o tradizionali), ed un’azione che porti alla loro riuscita valorizzazione comporta la conoscenza approfondita di quel vitigno (o di quei vitigni) e la ricerca delle tecniche colturali ed enologiche che possano esaltarne le componenti varietali, ottenendone vini che sono, in definitiva, espressione di un territorio.

I fattori genetici, ovvero quelli intrinseci, propri di un vitigno, sono tra gli aspetti che incidono più fortemente sulla composizione delle uve e vanno studiati in relazione alla componente ambientale (adattabilità o reazione all’ambiente), colturale (tecniche di allevamento) e fisiologica (soprattutto riguardante il processo di maturazione).

Gli studi di genomica funzionale in vite, per la verità, sono ancora agli albori, e proprio per questo rivolti a poche cultivar modello (tra cui si hanno normalmente vitigni dello standard internazionale) oppure a mutanti, di solito poco o per nulla utilizzati commercialmente.

I vitigni autoctoni, almeno per ora, sono ancora poco studiati sotto questo profilo, anche se si prevede che le ricerche siano presto estese ad esplorare l’ampia diversità genetica offerta dalle numerose cultivar di vite esistenti, e dunque anche molti vitigni minori.

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