mercoledì 7 maggio 2025

Una consultazione pubblica per la nuova Strategia Ue sulla bioeconomia

 

Una consultazione pubblica per la nuova Strategia Ue sulla bioeconomia

L'Italia è fra i Paesi in Europa a più alta incidenza della bioeconomia. Copre il 6,4% in termini di valore aggiunto e quasi l'8% per l'occupazione, con circa 2 milioni di addetti.

A lanciarla nei giorni scorsi la Commissione europea. La fase di ascolto rimarrà aperta fino al 23 giugno. La nuova strategia sulla bioeconomia vedrà la luce entro fine anno

di Emanuele Isonio

 

Supportare cittadini, regioni, i settori chiave dell’agricoltura, della silvicoltura, della pesca, della produzione industriale e dei servizi di biofabbricazione e biotecnologie promuovendo l’uso migliore e più sostenibile delle biomasse, mantenendo materiali e prodotti nell’economia il più a lungo possibile. Saranno gli obiettivi alla base della nuova Strategia europea per la Bioeconomia che la Commissione Ue si è ripromessa di presentare entro la fine di quest’anno.

Per arrivare a redigere il nuovo testo, che fa seguito a quello originario del 2012 e all’aggiornamento approvato nel 2018, la Commissione ha aperto una consultazione pubblica che durerà fino al 23 giugno prossimo.

Chi può partecipare

L’invito a proporre un proprio contributo è rivolto, oltre che a tutti i cittadini dell’Unione, anche a imprese e industrie, produttori di biomassa, agricoltori, rappresentanti delle parti sociali e delle attività produttive, ONG, organizzazioni di ricerca e formazione, autorità pubbliche nazionali e regionali o di Paesi terzi ed organizzazioni internazionali.

“Questo invito e la consultazione pubblica garantiranno che la Commissione tenga conto delle prospettive delle parti interessate” si legge in una nota. “A tal fine, la Commissione raccoglierà in modo trasparente i loro pareri, le argomentazioni, le informazioni e le analisi di base sulla bioeconomia e sulla futura strategia dell’UE”. Come di consueto, tutti i contributi verranno poi pubblicati sul sito della Strategia e verrà poi prodotta una relazione di sintesi di tutti i contributi ricevuti.

Parallelamente alla consultazione pubblica online, saranno inoltre organizzati diversi workshop specifici per gli stakeholder. Accanto ad essi, sono in programma diversi eventi per gli stakeholder incentrati sulla bioeconomia, come la Settimana Verde dell’UE 2025 e la conferenza della Piattaforma Europea degli Stakeholder per l’Economia Circolare.

Dalla bioeconomia più di 700 miliardi di valore aggiunto

La Commissione europea ricorda che la bioeconomia – intesa come produzione di biomassa, conversione della biomassa in alimenti, materiali e prodotti di origine biologica (inclusi quelli biochimici) e bioenergia – ha generato 728 miliardi di euro di valore aggiunto e ha impiegato 17,2 milioni di persone nell’UE nel 2021. Cifre pari al 5% del prodotto interno lordo dell’UE e all’8,2% della sua occupazione.

“Ciò dimostra il potenziale di crescita di una bioeconomia rigenerativa che contribuisce alla competitività dell’UE, rafforza la sua base industriale, riduce ulteriormente la nostra dipendenza dai combustibili fossili e valorizza le nostre aree rurali” sottolinea la nota della Commissione.

Il percorso di consolidamento della bioeconomia è peraltro reso più urgente dall’attuale contesto internazionale. “La guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina e una più forte concorrenza internazionale hanno evidenziato la necessità di aumentare la competitività dell’UE e di rafforzare la resilienza, l’efficienza delle risorse, la sovranità alimentare e la sicurezza energetica nell’UE, garantendo al contempo l’accessibilità economica e la convenienza di questi beni e servizi di base per tutti” aggiunge la Commissione.

FONTE: IX Rapporto La Bioeconomia in Italia, Centro Studi Intesa Sanpaolo, 2022.

FONTE: IX Rapporto La Bioeconomia in Italia, Centro Studi Intesa Sanpaolo, 2022.

Il ruolo chiave della Bioeconomia

Non solo: la bioeconomia risponde agli obiettivi contenuti nella Bussola della Competitività, nel Clean Industrial Deal e nella legge UE sul clima. Svolge infatti un ruolo chiave nell’aiutare la UE a raggiungere i suoi target climatici ed energetici entro il 2030 e la neutralità climatica entro il 2050, contrastando al contempo la perdita di biodiversità e l’inquinamento. Secondo la Vision for Agriculture and Food, la bioeconomia e la circolarità sono strumenti chiave per l’agricoltura, la silvicoltura e l’intero sistema alimentare per ridurre le dipendenze esterne, diversificare le fonti di reddito e rafforzare il ruolo dei produttori primari.

Tuttavia, la Commissione è preoccupata perché la bioeconomia europea rischia di risentire di un “persistente divario nella crescita della produttività“. Su questo pesano la frammentazione del quadro politico e i compromessi tra gli Stati membri, che ostacolano il potenziale dell’Unione di raggiungere una posizione di leadership in un mercato in rapida espansione, sfruttando i settori dei materiali biologici, della biofabbricazione, dei prodotti biochimici e dell’agritech e della tecnologia alimentare, che presentano un significativo potenziale di crescita. Da qui l’intento di dotare l’Unione di una nuova strategia per la bioeconomia entro fine anno.

Gli obiettivi della nuova Strategia

Negli obiettivi della Commissione, la nuova strategia promuoverà una produzione e un consumo più circolari e sostenibili di risorse biologiche per alimenti, materiali, energia e servizi, offrendo potenziali alternative ai combustibili fossili. Aiuterà poi agricoltori, industrie e imprese (a partire dalle PMI e dalle startup) a colmare il divario di innovazione e a realizzare con successo la transizione verde. “La strategia mirerà a ridurre la pressione sulle risorse limitate attraverso l’innovazione nella produzione primaria, una maggiore circolarità e l’efficienza delle risorse. Affronterà inoltre gli ostacoli e individuerà i fattori trainanti per le innovazioni e le soluzioni della bioeconomia affinché raggiungano il mercato”.

In particolare, le start-up della bioeconomia nell’UE spesso affrontano notevoli difficoltà di scalabilità, spingendo alcune a cercare opportunità e manodopera qualificata all’estero. Tra i fattori chiave che contribuiscono a questa tendenza figurano l’accesso limitato al capitale di rischio, la frammentazione del mercato, la carenza di manodopera e gli ostacoli normativi.

Ovviamente la nuova Strategia seguirà quanto già fatto a livello comunitario finora. In particolare, l’Ue è già riuscita negli ultimi anni a mobilitare finanziamenti pubblici per la ricerca e l’innovazione nel campo della bioeconomia.

L’urgenza di far crescere gli investimenti

La bioeconomia dell’UE potrebbe aumentare la competitività incrementando l’uso di biomassa sostenibile in applicazioni ad alto valore aggiunto, in linea con un utilizzo circolare ed efficiente delle risorse limitate di biomassa. La Bio-based Industries Joint Undertaking (2014-2020) e il suo successore, il partenariato Circular Biobased Europe 2021-2031, hanno ad esempio attratto investimenti privati ​​per 2,4 miliardi di euro entro la fine del 2023. Ad essi, si aggiungono 871 milioni di euro di sostegno da parte dell’UE. La Politica Agricola Comune mobiliterà inoltre circa 8,5 miliardi di euro per la bioeconomia agricola e forestale. Cifre che tuttavia rimangono basse se confrontate con gli attuali programmi dei paesi terzi per promuovere la bioeconomia.

“Sono necessari maggiori finanziamenti per portare queste soluzioni di bioeconomia dalla fase di produzione a quella di impianti di scalabilità e commercializzazione” spiega la Commissione. “Diverse barriere ne ostacolano o rallentano lo sviluppo, in gran parte dovute alla scarsa competitività in termini di costi, alla disparità di condizioni nel mercato unico con risorse fossili, a complessi ostacoli normativi, a una legislazione e a un’attuazione incoerenti in tutta l’UE, a finanziamenti insufficienti associati a esigenze di investimenti ad alto rischio, a lacune nei finanziamenti e a infrastrutture insufficienti”.


martedì 6 maggio 2025

Alla “Tavola del Gattopardo” il prestigioso riconoscimento di “Ambasciatrice dell’Identità Territoriale” del percorso dei Borghi GeniusLoci De.Co. (Denominazione Comunale)

 Si tratta di un riconoscimento che premia la bellezza storica, culturale e paesaggistica del territorio del Comune di Santa Margherita Belice. Il cibo è identità e responsabilità, un nuovo approccio alla sostenibilità e alla valorizzazione dei territori, afferma il Sindaco Gaspare Viola, un riconoscimento importante che si inserisce perfettamente nell’ambito della Sicilia, quale “Regione Europea della Gastronomia 2025”, prima in Italia a ottenere questo vessillo internazionale assegnato dall’International Institute of Gastronomy, Culture, Arts and Tourism (Igcat).

Nella scorsa edizione del Premio dedicato a Tomasi di Lampedusa, si è svolto il Proloquio per la candidatura, propedeutico alla presentazione del dossier di candidatura.
A guidare l’iniziativa istituzionale è l’Assessore al Turismo e alla Promozione Territoriale Deborah Ciaccio, che ha commentato con entusiasmo la notizia: “Siamo contenti e orgogliosi, un risultato da condividere con la città e con i tanti ospiti che vorranno visitare il nostro territorio, nella prossima edizione del Premio Internazionale Giuseppe Tomasi di Lampedusa, si svolgerà l’audizione pubblica dedicata al riconoscimento.”

La commissione della Rete Nazionale dei Borghi GeniusLoci De.Co. presieduta da Nino Sutera ha così motivato il riconoscimento “Il Comune belicino si distingue per la sua ricca eredità storica, la capacità di valorizzare la propria identità attraverso eventi culturali a tradizione identitaria. Tra i suoi punti di forza spicca il celebre Palazzo Filangeri di Cutò, residenza estiva di Tomasi di Lampedusa. Ma non solo: Santa Margherita Belice è anche sinonimo di un immenso giacimento di enogastronomia autentica ed identitaria, mirabilmente descritta nel romanzo “Il Gattopardo”.

  E tra i suoi prodotti identitari spiccano di certo “le siringate”, quei gustosi dolcetti che piacevano tanto alla principessa Filangeri, che a Santa Margherita di Belice era trattata da tutti come una regina.” Al Comune va anche il merito, che se pur nell’ottica dell’alternanza delle amministrazioni, rimangono immutati gli obiettivi da perseguire, fatto questo che raramente si riscontra in altre realtà, conclude Nino Sutera

“Pubbliche amministrazioni e politiche locali del cibo”




Può la P.A delegare tematiche sensibili quali sono le politiche legate ai beni pubblici a privati?

la risposta è chiaramente NO

Durante l’ultimo incontro nazionale della Rete Italiana delle Politiche locali del cibo, tenutosi a Torino a gennaio 2025, si è ritrovato per la prima volta il neonato Tavolo di lavoro “Pubbliche amministrazioni”, coordinato dalla Regione Piemonte – Direzione Agricoltura e cibo e dal Comune di Trento - Ufficio partecipate e politiche urbane sostenibili.

Il Tavolo è nato con lo scopo di instaurare e sviluppare un rapporto costante tra le Pubbliche Amministrazioni, sia per diffondere e condividere le buone pratiche sulle Politiche del cibo, sia per discutere di opportunità e problematiche.

Anche in esito alla discussione emersa all’incontro di Torino, le referenti vogliono condividere i possibili ambiti di lavoro del Tavolo, invitando ciascun rappresentante di pubbliche amministrazioni all'interno della Rete, ma anche esterni che siano a conoscenza di atti formali, di contribuire alla seguente raccolta di informazione

 Si tratta di un sotto-gruppo di lavoro neocostituito: all’interno della rete delle politiche locali del cibo, se la maggior parte dei partecipanti afferiscono a università ed enti di ricerca, non mancano anche rappresentanti di comuni, regioni o altri enti territoriali  Le pubbliche amministrazioni infatti, non solo possono essere fautori di politiche del cibo locali, ma possono anche fungere da luoghi di sperimentazione per la ricerca.

Da un primo incontro online era emersa la necessità di uno scambio di atti normativi, pratiche amministrative ed esperienze per capire come procedere nella progettazione e implementazione delle politiche locali del cibo. Si è pensato quindi di riunirsi anche all’assemblea nazionale per allinearsi tra diversi enti pubblici e dare un orientamento al gruppo di lavoro, identificando i punti su cui focalizzare il tavolo.

In vista dell’incontro, è stato diffuso un questionario alla rete destinato alle pubbliche amministrazioni, senza pretesa di rappresentatività. Sono state raccolte 30 risposte. La diffusione è stata fatta tramite la rete, ma anche tramite il gruppo di funzionari che hanno partecipato al corso di formazione sulle politiche del cibo  

Il questionario raccoglie una maggioranza di risposte da soggetti provenienti dalle regioni questo caratterizza quindi le risposte successive che non possono essere rappresentative dell’intero territorio nazionale, visto la particolare proattività della Regione, rispetto ad altre.

Emerge comunque che inizia ad esserci un interesse verso le politiche del cibo a tutti i livelli di governance territoriale, tuttavia sono i comuni a occuparsene prevalentemente.

All’attività dei diversi enti (singoli progetti) non corrisponde necessariamente l’adozione a monte di un atto di indirizzo politico. Questo si traduce in poco coordinamento tra i progetti, ma anche nel rischio di discontinuità sul lungo periodo.


Le azioni adottate si riferiscono principalmente a forme di approvvigionamento del cibo (mercati contadini o orti urbani). Ciò che si nota, inoltre, è una percentuale consistente di soggetti che dichiarano di attuare misure in ambito di pianificazione del territorio. Sarebbe interessante approfondire in cosa queste si traducano concretamente.

L’esperienza della Food policy di Milano

Andrea Magarini, Dirigente Area food policy del comune di Milano, presenta il caso di Milano

In Italia, in Europa e nel mondo si nota come le città affrontano il tema del food policy in modo simile. Occuparsi del cibo a qualunque scala significa coinvolgere i medesimi driver ovunque essi si trovino. Relativamente agli approcci, ci sono diverse alternative ma nessuna è più giusta delle altre, dipende dal caso specifico.

Come si fa ad affrontare la questione delle politiche dl cibo?

L’area di Milano si divide in 42 persone e 5 unità. Prima di costruire l'area nel 2022, le strutture erano presenti in altri comparti del comune. Le competenze sono state perciò unite all’interno di un unico disegno.

A partire dal caso di Milano, espone quali possono essere i driver delle politiche del cibo, da calare poi nel proprio territorio:

1)    Atti politici ed amministrativi: Un mandato, una delibera, un atto politico scritto può essere importante e utile, altrimenti se cambiano le persone o le strutture è difficile mantenere continuità e costruire qualcosa di lungo periodo. Codificare un gruppo di lavoro può essere il passo più semplice: direzione, più assessorati, o un team generico.La delibera presenta un numero progressivo e una data di fondazione, riferimenti importanti per le azioni successive in materia di cibo. Per esempio, durante il Covid il fatto di avere già un atto politico che provasse l’impegno del comune di Milano ad investire in politiche del cibo è stato determinante per difendere un investimento di 7 milioni circa in voucher che era stato messo in discussione dal TAR di Milano. Un corpo di atti amministrativi che dimostrino che cosa è una food policy ed entri nell’anima dell’amministrazione, è alla luce di ciò molto importante.

2)    Collaborazioni: è importante avere alchimia tra parte politica (esempio, assessori) e parte tecnica, oltre a motivare tutti coloro che collaborano alle food policies. Anche gli imprenditori di policy, politici, tecnici, esterni, o soggetti esterni sono un altro driver importante. Si tratta di soggetti che riescano ad avere grande capacità immaginativa e a muoversi con facilità nella pubblica amministrazione, dunque deve prima di tutto conoscerla bene. Più entry points vi sono maggiori in potenza sono gli output amministrativi.

3)    Concretezza, partire dal basso: Punto di forza della food policy di Milano è stato partire dalle cose concrete, pratiche. Si sono chiesti da dove potevano partire, nel concreto, e sono approdati all'ambito dello spreco alimentare.Hanno subito cercato collaboratori e finanziatori, e man mano hanno proposto idee che hanno attirato investimenti e supporto. Adesso vi sono 9 hub nella città e 46 supermercati convenzionati.

4)    *Competizione: elemento che stimola continuamente a migliorarsi, entrando in relazione con altre persone e realtà.

 

L’esperienza delle politiche del cibo a Roma

 

Fabio Bonanno, responsabile Agricoltura e Food policy in assessorato Cibo ed Agricoltura di Roma

 

Il processo delle politiche del cibo a Roma ha portato alla creazione di un consiglio ad hoc con la presidenza di Fabio Ciconte. Se a Milano il processo è partito dall’alto, a Roma si è partiti dal basso, dalle associazioni. Tuttavia, Fabio sottolinea che a Roma la mobilitazione del basso è stata sostenuta e legittimata attraverso 15 atti politici e amministrativi in due anni, che hanno fornito un quadro giuridico concreto. Inoltre, un elemento fondamentale per il successo dell’iniziativa è stata la delega politica specifica all’agricoltura e alle politiche del cibo.

Strumenti normativi e politiche adottate

          Consiglio del Cibo: istituito con Delibera 68/2023, sotto la presidenza di Fabio Ciconte, con il compito di fungere da raccordo tra istituzioni e società civile.

          Partecipazione a eventi fieristici , per valorizzare le filiere locali.

          Linee guida per l’assegnazione di terreni agricoli a giovani agricoltori (Delibera 43), con l’obiettivo di incentivare l’agricoltura sostenibile e la diffusione di competenze.

          Regolamento sugli orti urbani comunitari, per favorire l’aggregazione sociale e l’educazione agricola.

         Progetto sui vigneti urbani, premiato a livello europeo.

          Roma sarà prossimamente “Città del formaggio”, con l’obiettivo di promuovere i prodotti caseari locali.

4.  Contesto territoriale e peculiarità di Roma

          Due terzi del territorio comunale non urbanizzati, suddivisi equamente tra aree verdi e agricole.

          Presenza del Centro Agroalimentare di Roma, il più grande d’Italia, con un giro d’affari di circa due miliardi di euro.

         Forte presenza di consorzi e enti locali impegnati nella filiera agroalimentare.

Sulla base delle sollecitazioni lanciate da Roberta Sonnino all’assemblea plenaria del giorno precedente, vengono riprese le sfide e strategie per il futuro nelle pubbliche amministrazioni:

          Frammentazione della società civile: quando si attiva la partecipazione, è inevitabile confrontarsi con la molteplicità degli attori coinvolti.


          Rapporto tra scienza, università e politica: il mondo accademico deve supportare la politica nella realizzazione degli obiettivi, garantendo un approccio basato su evidenze scientifiche.

          Cibo come motore sociale: il cibo non è solo nutrizione, ma anche inclusione sociale, attraverso la condivisione, la cucina e il racconto del cibo.

          Povertà alimentare: non riguarda solo la dimensione economica, ma anche aspetti emotivi, psicologici e culturali.

Proposte per affrontare le criticità

 

         Nuovo approccio di welfare per coinvolgere gli emarginati attraverso il cibo.

          Creazione    di    uffici   specializzati    per    colmare la mancanza di competenze amministrative nel settore alimentare.

         Istituzione di assessorati al cibo per garantire una governance più efficace.

         Censimento delle terre regionali e affitti calmierati per giovani agricoltori.

          Costruzione di una rete amministrativa tra città per superare l’inerzia dei governi nazionali.

          Rafforzare le sinergie tra produzione e sociale, città e campagna, metropoli e aree interne.

L'esperienza di Roma dimostra che è possibile costruire politiche alimentari dal basso, integrandole con strumenti amministrativi concreti. Tuttavia, per garantire la sostenibilità delle iniziative, è necessario:

         Consolidare una governance strutturata.

         Rafforzare la collaborazione tra istituzioni, università e società civile.

          Individuare modelli di finanziamento stabili per garantire la continuità delle politiche del cibo.

Un intervento sottolinea come la politica tenda ad ascoltare poco la scienza, concentrandosi più sul cibo come risorsa economica che sul suo impatto ambientale e sulla qualità per la salute. Si sottolinea la necessità di spostare l’attenzione su che tipo di cibo viene promosso, valutando criteri di sostenibilità e benessere. Si è ftto riferimento ad alcune amministrazioni e organizzazioni che adottano politiche contraddittorie, favorendo da un lato il marketing del cibo locale e dall’altro sostenendo modelli produttivi impattanti come gli allevamenti intensivi. Si critica anche il peso eccessivo dato al turismo e all’interesse economico rispetto alla tutela ambientale. Si pone il quesito su quali criteri vengano usati per supportare o meno un determinato prodotto, e se questi includano effettivamente considerazioni ambientali o se siano influenzati da logiche distorte e opportunistiche. 

Un altro intervento evidenzia come una delle maggiori difficoltà dell’amministrazione comunale sia effettivamente quella di organizzare e strutturare gli atti e i team di lavoro. Su questo, Valentina dice che è stato proposto uno spazio di lavoro online che metta in comune e a disposizione gli atti pubblici delle varie amministrazioni.

Segue l’intervento dell’Ass.a Patrizia Notari Stefano: le amministrazioni civiche sono sempre più sensibili alle politiche del cibo. Un esempio è la filiera solidale del cibo frutto delle forze congiunte del comune di Viterbo e dell'Università, che fornisce un supporto molto importante.

Damiano Petruzzella, infine, ha posto l’attenzione sulla fragilità delle relazioni tra i diversi attori delle politiche del cibo. I vari settori operano spesso in microcosmi distinti, con difficoltà nel creare connessioni efficaci con altre sfere. Ha quindi invitato a superare i confini cittadini e a guardare oltre le singole realtà locali, considerando il cibo in una prospettiva più ampia che tenga conto di ciò che avviene a monte e a valle della filiera.

Un punto critico riguarda la poca attenzione alle migrazioni interne, in particolare dal mondo rurale ai centri urbani. Con il crescente afflusso di persone dalle aree interne verso le città, molte zone agricole rischiano di essere ulteriormente depotenziate, con conseguenze sia per le comunità contadine sia per la capacità produttiva del territorio. Se le terre vengono abbandonate, anche la loro coltivabilità ne risente, aggravando la crisi del settore agricolo.L’intervento ha quindi sollecitato una maggiore attenzione a queste dinamiche, affinché le politiche alimentari non si concentrino solo sul prodotto finale, ma anche sulle realtà territoriali e sociali che ne garantiscono la produzione e la sostenibilità nel lungo periodo.


per maggiori informazioni   osservatorio.neorurale@gmail.com 



lunedì 5 maggio 2025

Analisi sull'adozione delle opzioni semplificate in materia di costi (OSC) elaborate da Rrn-Ismea

 La semplificazione amministrativa, della performance e dell'attenzione ai risultati è un elemento di grande attualità nel contesto della gestione dei fondi dell'Unione Europea da parte delle Autorità di Gestione regionali (AdG) in campo agricolo.



Già nel corso della fase di programmazione 2014-2022 la Rete Rurale Nazionale (RRN) ha attivato una specifica task force a supporto del partenariato regionale per il calcolo e il conseguente utilizzo delle c.d. "opzioni semplificate in materia di costi" (OSC), una modalità rendicontativa alternativa e, appunto, semplificata rispetto alla consueta rendicontazione delle spese a "costo reale".

Il forte aumento dell'interesse evidenziato nel corso delle fasi di programmazione 2014-2022 e 2023-2027 da parte di molte Autorità di Gestione verso l'introduzione dei costi semplificati nei propri bandi, col fine di promuovere uno lo snellimento delle attività istruttorie, ha rappresentato nel tempo un stimolo al rafforzamento dell'attività della Rete Rurale a supporto di tale tematica.

La presente "Analisi sull'adozione delle opzioni semplificate in materia di costi (OSC) elaborate da RRN-ISMEA nei bandi PSR 2014-2022 e PSP 2023-2027", rappresentando la prosecuzione e l'approfondimento dell'analisi già pubblicata nell'aprile 2022, si propone: da una parte, di verificare le scelte operate dalle singole Regioni relativamente all'introduzione o meno dei costi semplificati nell'ambito dei bandi per le Misure dei Programmi di Sviluppo Rurale (PSR) 2014-2022 nonché degli interventi del Piano Strategico per la PAC (PSP) per la fase di programmazione 2023-2027; dall'altra, di valutare l'interesse e l'impatto sull'attività delle AdG da parte delle metodologie di semplificazione dei costi elaborate dalla Rete Rurale Nazionale 20214-2024, oggi Rete Nazionale della PAC 2025-2027, tramite il proprio soggetto attuatore ISMEA. 

In tutti gli ambiti di potenziale applicazione delle metodologie di semplificazione della RRN, la tendenza generale in merito all'adozione da parte delle AdG regionali si segnala in costante crescita nel corso del periodo temporale considerato. Si tratta di un risultato importante che conferma l'interesse generale dei beneficiari finali verso le iniziative della RRN/Rete PAC a supporto del miglioramento delle capacità amministrative del partenariato. 

Il report presenta i risultati dello studio sull'utilizzo delle opzioni semplificate in materia di costi relativamente ai bandi PSR e PSP pubblicati al 30/11/2024.




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